Linguaggi sempre più grezzi e proteste che cercano simboli per radicarsi nell’immaginario popolare. Ma a forza di voler essere “popolari”, abbiamo finito per parlare soltanto alla pancia del Paese
Noi che crediamo d’essere moderni, conserviamo un linguaggio antico. Anzi, preistorico! Questione di convenzione e comprensione, visto che ci muoviamo, sempre più frequentemente come “pesci fuor d’acqua” nel bestiario politico servito in salsa populista con “sardine, gattini, tonni e baccalà”.
Parlo di quella politica talmente impoverita da “raschiare il barile verbale”, proponendosi con linguaggi sempre più “grezzi” per garantirsi la “popolarità populista”.
Niente a che vedere con l’oratoria retorica esercitata come arte dagli antichi! Oggi, se c’è una realtà scollegata dal mondo, questa è inconfutabilmente la politica dei tempi moderni che – dicono – parla alla “pancia del Paese”, mentre è invece cagione del mal di pancia nazionale.
I “gattini salviniani”, le “sardine romagnole”, i “baccalà romani”, tutti si rifanno alla lunga tradizione di protesta già vista in passato. Caput mundi di questo “brontolio” popolare, resta sempre e comunque la nostra Vancimuglio, dove tra il 1996 e 1997 si consumò il movimento contro le quote latte, che ebbe qui la sua esplosione e visibilità con gli spargimenti al vento di letame.
Quello che non riescono a fare le parole, i segni ce lo dimostrano. Cosa questa non sempre edificante, vedendo gli esempi di come in realtà ci comportiamo e ci esprimiamo “come se fossimo appena usciti dalle caverne”. Se il linguaggio moderno stesse tornando all’antico? Tutto cambia perché nulla cambi, con la televisore trasformata in arena antica dei giorni nostri. Con i talk-show che sfoderano i “gladiatori delle parole” pronti a scannarsi come barbari. Sono i lestofanti dei “movimenti di pancia” che gettano le loro reti in cerca di “boccaloni” che rinunciano al loro pensiero individuale, lasciandosi trasportare dalla corrente fin dentro le grandi reti cattura-voti.
