Mosaico
La tata fotografa. La storia straordinaria di un talento rimasto nascosto per molti anni
Alla mostra “Unseen” e agli scatti inediti di Vivian Maier, i promotori di Vertigo Syndrome hanno dedicato una pagina Ig
Alla mostra “Unseen” e agli scatti inediti di Vivian Maier, i promotori di Vertigo Syndrome hanno dedicato una pagina Ig
Vivian era affascinata dalla scatoletta magica di Jeanne. Ci potevi guardare dentro, schiacciavi un bottone e poco dopo quello che avevi visto lo ritrovavi stampato, preciso preciso su un foglio lucido bianco. Un grande disegno in bianco e nero, per fare il quale non ti servivano le matite. Jeanne, immergeva il foglio in grandi vasche con dei liquidi che Vivian non poteva toccare. Jeanne faceva questo lavoro in una stanza buia, perché, le aveva spiegato, solo al buio poteva avvenire la magia.
Vivian era affascinata da Jeanne, l’amica della mamma che un giorno aveva aperto loro le porte di casa sua nel Bronx. Vivian non capiva perché mamma e papà non volessero più stare insieme. Ma almeno così non li sentiva più litigare. A casa di Jeanne si stava bene. E poi c’era quella scatoletta magica.
Siamo a New Jork. Nel 1929. Vivian Maier era nata appena tre anni prima. Suo papà, Charles Maier, statunitense nato da una famiglia di emigranti austriaca, e sua mamma Maria Jaussaud, nata in Francia ed emigrata piccolissima negli Stati Uniti avevano deciso di porre fine al loro matrimonio. Vivian e sua mamma trovano ospitalità a casa di Jeanne Bertrand, fotografa professionista, che trasmette loro la passione per la fotografia. Tre anni più tardi Maria Jaussaud decide di ritornare con sua figlia in Francia, dove Vivian trascorre parte della sua infanzia, dai sei-sette anni fino ai dodici. Vivian impara ben presto la lingua, gioca con i bambini della sua età, mentre sua mamma immortala con alcuni scatti gli anni trascorsi in Francia. In Europa iniziano a soffiare venti di guerra. È il 1° agosto 1938 quando Maria e Vivian ripartono alla volta degli Stati Uniti, a bordo del transatlantico Normandie, che collegava Le Havre a New York, dove di nuovo si stabiliscono. Terminata la seconda guerra mondiale, nel 1950-51, Vivian, che aveva tra i 24 e i 25 anni, torna in Francia, a Sainr-Julien-en-Champsaur, paese di circa 1.700 anime, a circa 90 km a sud di Grenoble, dove era nata sua mamma. Torna per mettere all’asta una proprietà che le era stata lasciata in eredità. In attesa della vendita, Vivian, con due apparecchi fotografici a tracolla, percorre la regione, abbracciata dalle Alpi, fa visita ai membri della sua famiglia e riprendendo molte immagini. Ora che era cresciuta, aveva affinato l’arte che tanto l’aveva affascinata a casa di Jeanne ed era lei, ora, a guardare e a riprodurre, attraverso la macchina fotografica, quello che osservava.
Nell’aprile 1951 Vivian riparte alla volta di New York. Con il ricavato della vendita della casa aveva comprato un’eccellente fotocamera, una Rolleiflex professionale, che sarebbe diventata la sua compagna di una vita. Dopo aver lavorato come bambinaia al servizio di una famiglia nel Southampton, nel 1956 Vivian Maier si stabilisce definitivamente a Chicago, dove continua a guadagnarsi da vivere come governante. Non è il mestiere che predilige, ma è quello che sa fare ed è quello che le permette di sbarcare il lunario. Ha 30 anni quando Nancy e Avron Gensburg l’assumono perché si prenda cura dei loro tre ragazzi: John, Lane e Matthew. I tre bambini stravedono per Vivian, una tata un po’ strada e fantasiosa, una sorta di Mary Poppins. Nella casa dei Gensburg, Vivian aveva un bagno privato, che aveva trasformato in camera oscura, dove sviluppava le foto che faceva. Sì, perché, dalla sua Rolleiflex non si separava mai. La portava sempre con sé, quando usciva per commissioni o per accompagnare i bambini a scuola o al parco, pronta a immortalare la vita quotidiana lungo le strade con i suoi abitanti, bambini, lavoratori, persone dell’alta società, così come mendicanti ed emarginati. Vivian Maier vive con i Gensburg per 17 anni. John, Lane e Matthew sono ormai grandi e non hanno più bisogno di una tata, e lei lascia la loro casa, trasferendosi presso altre famiglie con bambini piccoli. Questo le permette di continuare a guadagnarsi da vivere, continuando a coltivare quella che è la sua vera passione: raccontare la realtà attraverso la macchina fotografica. Quando nel 1987 si presenta alla porta dei coniugi Unsiskin, suoi nuovi datori di lavoro, Vivian porta con sé 200 casse di cartone contenenti il suo archivio personale di foto, negativi e video in super 8. Passano gli anni e per Vivian aumentano le difficoltà finanziarie. Le sue casse con tutte le sue foto e tutta la sua vita, finiscono in un box in affitto. Sul finire del 2008 Vivian ha un incidente sul ghiaccio: cade e batte la testa. I Gensburg, che avevano cercato di aiutare la tata che li aveva cresciuti, la fanno ricoverare in una casa di cura, dove Vivian Maier muore qualche mese più tardi, nell’aprile 2009. Senza sapere che due anni prima, il box in cui erano custoditi tutti i suoi negativi, le foto e i video era andato all’asta, ed era stato acquistato per 380 dollari da John Maloof, che, prende i negativi e sviluppa alcune foto di Vivian; le pubblica quindi su Flickr, ottenendo un interesse entusiastico e virale da parte della community. Dopo lunghe ricerche, Maloof arriva a conoscere la storia di Vivian Maier, autrice di quelle immagini, street photos ante litteram. E scopre inoltre che Vivian, che aveva scattato molti autoritratti, è stata anche un’antesignana dei moderni selfie.
Il 17 ottobre scorso ha aperto le porte al Belvedere della Reggia di Monza la mostra “Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier”, che rimarrà aperta al pubblico fino al 26 gennaio del prossimo anno. “Vivian Maier – spiega la curatrice della mostra Anne Morin – era un’invisibile destinata all’oblio. È la prima volta che una fotografa amatoriale entra a far parte della storia della fotografia ed in più è una donna”. In mostra a Monza ci sono 220 stampe a colori in bianco e nero, registrazioni audio e filmati in super 8. Tutto materiale mai visto prima. “Vivian Maier, la tata fotografa – prosegue Morin – ha prodotto oltre 150mila negativi, la maggior parte dei quali mai sviluppati. La strada era il suo teatro dell’ordinario e dello straordinario, che si rende visibile solo a chi sa vederlo”. E lei aveva deciso di raccontarlo attraverso la sua Rolleiflex, dove raccoglieva i suoi pensieri, le sue emozioni. Lì c’era tutto il suo mondo, protetto dalla sua macchina fotografica.
Alla mostra “Unseen” e agli scatti inediti di Vivian Maier, i promotori di Vertigo Syndrome hanno dedicato una pagina Ig, dove oltre alle immagini di questa antesignana della street photography, vengono proposte anche stories e interviste ai visitatori. “Vivian Maier è una delle più grandi fotografe del XX secolo – scrivono gli organizzatori su Ig –. È diventata un’icona della street photography, grazie ai suoi scatti in bianco e nero, che rivelano la bellezza e la complessità della vita quotidiana. La sua capacità di cogliere attimi fugaci, volti espressivi e storie nascoste è un regalo per chi ama la fotografia. Ha immortalato momenti intimi e autentici, trasformando il banale in straordinario. Ogni fotografia è un invito a riflettere su ciò che ci circonda e a notare la poesia nelle piccole cose. La storia di Vivian Maier è una testimonianza straordinaria del talento che può rimanere nascosto, aspettando solo di essere scoperto. Con lo scatto silenzioso della sua Rolleiflex, Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Dai banchieri di Midtown ai senzatetto addormentati sulle panchine dei parchi, alle coppie che si abbracciavano. Inconsapevole di star scrivendo un capitolo importante della storia della fotografia”.