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La voce dell’esperta. Le norme non tutelano né il suolo né il patrimonio pubblico
In Consiglio regionale e in Senato si discute su due leggi che tuttavia non miglioreranno la situazione
IdeeIn Consiglio regionale e in Senato si discute su due leggi che tuttavia non miglioreranno la situazione
Nelle 44 pagine, tra l’altro, si invita a rivedere alcune delle deroghe in vigore con l’attuale legge regionale contro il consumo di suolo, che hanno impedito il rallentamento della cementificazione.
Chiara Mazzoleni è docente di Urbanistica all’università Iuav di Venezia. Ha pubblicato studi sulle tradizioni di ricerca dell’urbanistica, sulla costruzione dello spazio urbano, la transizione economica e le politiche di rigenerazione urbana di alcune città europee. Professoressa, cosa ne pensa di questo nuovo (undicesimo) rapporto dell’Ispra? «Penso che, purtroppo, la consapevolezza su quanto restituito sia molto scarsa. Il problema del consumo di suolo va preso sul serio, e questi report dimostrano che abbiamo istituti del tutto integrati alla regione che monitorano, studiano e prevedono, mentre a livello politico si fa tutt’altro. Ad esempio il Veneto, con la sua legge 14 del 2017, di cui è sempre andato molto fiero come prima legge sul contenimento del consumo di suolo, stabilisce criteri di conteggi di questo consumo di suolo completamente diversi da quelli nazionali, che sono coerenti con quelli europei, sulla base dei quali si è stabilito l’obiettivo zero consumo di suolo per il 2050». Ci può fare un esempio? «La legge 14 del 2017 stabilisce la quota massima di consumo di suolo per i singoli Comuni, ma ciò serve a poco, se poi si escludono da questo calcolo le infrastrutture, le opere pubbliche e tutto ciò che riguarda le imprese che ricorrono alla procedura Suap, che facilita la presentazione delle domande di trasformazione o espansione da parte delle imprese stesse. Oggi la Regione sta lavorando su questi temi con il progetto di legge 244 del 2024, che però rischia di tenere in piedi il sistema di deroghe. Per questo, per la prima volta, le maggiori associazioni ambientaliste – Italia Nostra, Legambiente e Wwf – si sono unite nella proposta congiunta di emendamenti per rivedere nella sostanza la nuova legge. Ma, ancora, siamo nel 2025 e non si è dato seguito al principio di non usare altro suolo senza prima aver fatto il bilancio di ciò che già esiste e può essere utilizzato, come invece prescritto dalla legge urbanistica 11 del 2004 sul governo del territorio. Infatti, la Regione non ha mai fatto un conto di tutto il suo patrimonio industriale dismesso».A proposito di trasformazione dell’esistente, sui banchi del Senato è attesa una legge importante già passata alla Camera, il Dl 69/2024 “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”. Come si lega al tema del consumo di suolo? «Il problema è che parlare di controllo di consumo di suolo diventa il grimaldello retorico per intervenire sull’esistente in maniera scriteriata e massiccia, per altro senza di fatto rinunciare al consumo di suolo. Il Dl 69/2024 fa seguito all’esperienza detta “Salva Milano”, che ha liberalizzato ristrutturazioni edilizie che erano, di fatto, sostituzione dell’esistente, senza controllo né volumetrico né del fenomeno indotto da queste trasformazioni. L’intervento sull’esistente ha valori posizionali sulla rendita molto più alti della costruzione ex novo, cioè un lotto su un’area già edificata ha valore più alto, perché ha già infrastrutture, beni pubblici e servizi da sfruttare. Quindi, di fatto, si utilizza in termini speculativi il bene pubblico, invece di potenziarlo, e si restituisce molto poco alla collettività. Fino a oggi, la sostituzione edilizia equivale alla nuova costruzione, che si paga molto di più in termini di oneri; la nuova legge prevede che invece, per esempio, demolire dei grandi magazzini e costruirci un edificio di tredici piani sia possibile senza fare alcun piano attuativo, cioè senza controllare l’impatto dell’intervento nell’area, quindi pianificare il miglioramento della qualità ambientale, mappare i servizi e tutto il resto». In che modo questa liberalizzazione deteriora la qualità della vita della popolazione? «Come dicevo, abbiamo sistemi di monitoraggio e controllo in grado di fotografarci lo stato attuale del territorio e fare previsioni accurate, ma non ci sono visioni di futuro. La logica è sempre e solo quella di favorire l’individualismo proprietario, come si è fatto con i vari bonus dati all’edilizia (una spesa pubblica senza precedenti), che hanno favorito i proprietari, invece di intervenire sul patrimonio pubblico, come ospedali e scuole. Nei Paesi del Centro e Nord Europa, le trasformazioni dell’esistente e il potenziamento degli strumenti di piano sono già in atto da più di vent’anni, noi siamo arrivati al 2025 a parlare di intervento dell’esistente, liberalizzandolo e subordinando gli strumenti di piano agli interessi del settore immobiliare. Se i Comuni facessero un bilancio sulla propria dotazione territoriale di servizi, si renderebbero conto che siamo sotto i minimi di spazi pubblici stabiliti dal Dm 1444/68 (del 1968!), quindi abbiamo un’urbanizzazione fortemente sottocapitalizzata in termini di beni collettivi».