L’affetto dei “suoi” giovani nel giorno del saluto

Nel racconto degli animatori, la profonda relazione con un parroco speciale. Domenica 27 settembre in sessanta giovani si sono radunati sotto la finestra del parroco-vescovo a due ore dall’ordinazione e poi in bici verso la basilica di Sant’Andrea. Emerge il ritratto di un pastore umano, “geniale”, capace di guardare avanti e di rimanere fermo sulle scelte. «Avrete un vescovo “sgobbone”, un ottimo organizzatore – butta lì un parrocchiano affezionato - Gliel’ho detto sarebbe stato un ottimo manager. Qui a Mantova i preti e i laici li ha fatti lavorare per davvero... trattatecelo bene».Iscriviti gratuitamente al sito per leggere l'articolo.Nel numero in edicola e in parrocchia da sabato 3 ottobre un inserto speciale da staccare e conservare.

Redazione

A Porto Mantovano il 27 settembre è una tranquilla domenica d’inizio autunno. Nella piazza di Sant’Antonio regna il silenzio. Del fatto che don Claudio Cipolla, parroco qui dal 1998, stia per diventare vescovo per poi partire per Padova nel volgere di tre settimane non c’è indizio alcuno.

Il pallino dei giovani

Nicola, 27 anni e studi in ingegneria, animatore della parrocchia e braccio destro del “don”, attraversa assieme a Carlo, un anno in più, dottorando in scienze sociali a Milano, gli ambienti deserti del centro parrocchiale. Gli scuri verde acqua, che staccano sui muri rosa, custodiscono sale nuove, inaugurate appena un paio di anni fa per accogliere la marea di giovani che oggi frequentano la parrocchia. «Qui da noi – raccontano i due animatori – dopo il catechismo cominciano i gruppi, dalla quinta elementare al secondo anno di università sono due da trenta ragazzi per ogni annata. Noi animatori, una sessantina in tutto, abbiamo ricevuto un mandato ad accompagnare un gruppo lungo tutto il suo percorso formativo».

Bastano due conti per capire che stiamo parlando di oltre 500 tra ragazzi e giovani che ogni settimana affollano l’“oratorio”. E non c’è da stupirsi se tra luglio e agosto sono stati 16 i campiscuola partiti da Sant’Antonio per la montagna: «Prima del 2013 eravamo arrivati a fare anche tre turni il sabato per ritrovarci con i ragazzi, le aule non bastavano mai…». Una sorta di piccolo miracolo, in un’area in cui la pratica dei cattolici non supera, secondo la statistica, il 20 per cento.

D’altra parte, che i giovani siano stati l’investimento pastorale più grande del parroco-vescovo lo certifica, a ordinazione avvenuta – quando su Sant’Antonio è calato il buio della sera – anche una catechista, a passeggio con il marito: «Quand’è arrivato don Claudio – racconta – gli chiedevamo perché non ci seguisse, perché si concentrasse così tanto sui giovani anziché sostenerci nel catechismo». Questioni che fanno parte della vita di ogni parrocchia, e che si sono ripresentate anche due anni fa, quando il grande centro parrocchiale, costruito con il sostegno dell’8 per mille, ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Eppure alla fine ha avuto ragione lui – riflette la catechista – La nostra è una parrocchia che scoppia di giovani. Ieri sera (sabato 26, ndr), alla veglia di preghiera per la sua ordinazione, saranno stati in 400 ad affollare il piazzale. È un dono grande, e pensare che prima di don Claudio qui non c’era niente».

Le relazioni e le vocazioni

Porto Mantovano, emerge chiaramente dalle parole di Nicola e Carlo, è un campo che don Claudio ha arato incessantemente per tutti questi anni. «L’impostazione dei nostri gruppi è tutta sua, l’ha pensata e voluta, ma negli anni ha anche saputo delegare. Ai campiscuola, per esempio, non prepara né mette in pratica nessuna attività. Lui veniva – “queste sono le mie ferie”, diceva – esclusivamente per parlare con gli animatori». Parlare, parlare e ancora parlare: le “torte” di don Claudio, lunghi confronti personali conditi da ampie camminate, sono per questi educatori un marchio di fabbrica. «Lui veniva, ti staccava dall’attività, ti faceva fare un lungo giro e nel frattempo si faceva un bilancio dell’anno del gruppo, ma anche della propria vita».

«È stato ed è un parroco amico, un confidente – sottolinea Carlo – Credo che tutti noi, nei momenti di passaggio importanti, ci siamo rivolti a lui. Sulle scelte pastorali ci siamo anche scontrati, perché non è facile accettare una scelta, obbedire. Ma negli anni ha dimostrato di saper vedere più avanti di tutti». Anche quando ha spostato il catechismo dall’oratorio alle case dei ragazzi. Anche quando di fronte ai cinque sacerdoti novelli ordinati in 17 anni (uno è un missionario della Consolata) si è chiesto il perché di tanta grazia proprio a Sant’Antonio.

L’imperfetto si intrufola così nelle parole dei due giovani, in questo tempo: don Claudio fisicamente è qui, ma il pensiero di quello che lo attende – «è contento e anche spaventato insieme», confida Nicola – contagia tutti. Il distacco da questo parroco “geniale”, e l’attesa del nuovo di cui il vescovo Busti ancora non ha reso noto il nome, ormai si percepisce.

La biciclettata

Alle 14 il vicolo che separa la canonica dalla chiesa è pieno di giovani a cavallo delle loro bici. Sono pronti per partire per la grande basilica di Sant’Andrea, capolavoro di Leon Battista Alberti, per assistere al rito antico dell’ordinazione episcopale. Al loro vociare, a un certo punto si aprono gli scuri di una finestra al piano di sopra. Don Claudio si affaccia: «Che cosa ci fate qui?», chiede sardonico. E inizia la vestizione in un dialogo surreale tra camera e cortile. Ai giovani si aggiungono le suore burundesi della congregazione Bene Umukana (Serve del Signore): vedere il parroco, per vent’anni volto della Caritas mantovana, in veste paonazza genera una sensazione strana tra scherzo e incredulità. La percezione è chiara: qualcosa di importante sta per avvenire.

Il parroco esce dalla canonica tra applausi e fischi di apprezzamento, scambia qualche battuta coi presenti, si fa aiutare da una signora a indossare la fascia, le foto di rito, quindi i giovani in bici verso il centro città e lui sulla Focus grigia diretto in curia per incontrare i giornalisti prima della cerimonia.

Tra umanità e decisione

«La grande umanità è la sua carta vincente – riprende la catechista – Sa voler molto bene, ma ha bisogno anche di sentire il bene. Sa delegare molto e anche circondarsi delle persone giuste. Ma, una volta ascoltati tutti, decide, anche contro il suo entourage». «Avrete un vescovo “sgobbone” – sorride Bruno, parrocchiano affezionato e cuoco ai campi – E poi segue tutti, parla con tutti. Ma è un ottimo organizzatore. Una volta gliel’ho anche detto: sarebbe stato un grande manager. Qui a Mantova ormai aveva in mano gran parte della diocesi, prima con le comunità sinodali e poi, con il Sinodo, i preti e i laici li ha fatti lavorare per davvero. Certo quando pianta un chiodo non lo toglie più… Mi raccomando, trattatecelo bene…».

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