Idee
Le macchine possono pensare? (in)Coscienza artificiale
«Propongo di prendere in considerazione la domanda: le macchine possono pensare?».
Idee«Propongo di prendere in considerazione la domanda: le macchine possono pensare?».
Nel 1950 Alan Turing, matematico britannico, formulò questa domanda in un articolo intitolato Computing Machinery and Intelligence. Titolo che dice molto della capacità visionaria di Turing, considerato il padre dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Per tentare una risposta, il matematico propose il famoso “gioco dell’imitazione”: per poter essere definita pensante, una macchina deve saper tenere una conversazione fingendo di essere una persona e senza farsi smascherare dall’intervistatore. Oggi questo test è stato ufficialmente superato. Un articolo, firmato da un gruppo di ricerca americano, descrive uno studio effettuato su ChatGpt-4, la più avanzata versione di chatbot di intelligenza artificiale prodotta da OpenAI. Il team ha esaminato come ChatGpt-4 risponde a una serie di giochi comportamentali (che suscitano atteggiamenti come fiducia, correttezza, avversione al rischio, cooperazione ecc.) e a un sondaggio psicologico denominato “Big-5” (che misura i tratti della personalità), il tutto rapportato ai risultati di oltre 100 mila persone provenienti da 52 Paesi diversi. I risultati sono stupefacenti: «ChatGPT-4 mostra tratti comportamentali e di personalità statisticamente indistinguibili da un essere umano». Ma cos’è, di fatto, ChatGpt-4? Che cosa si intende per intelligenza artificiale? Una macchina che usa un sistema di intelligenza artificiale è in grado di operare in autonomia, mostrare capacità di adattamento e generare contenuti come previsioni, raccomandazioni, decisioni. In particolare, un chatbot è un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano. Oggi ne facciamo largo uso quotidiano, dalla messaggistica di servizio agli assistenti vocali dei nostri cellulari, tuttavia la parte più complessa di un chatbot è la sua capacità di simulare, appunto, una vera conversazione umana. ChatGpt è l’acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, in sostanza un chatbot capace di apprendimento automatico, un algoritmo a cui è stata data in pasto una quantità enorme di dati, generalmente presi dal web o da libri digitalizzati, e che autonomamente ha imparato l’uso del linguaggio umano e il ragionamento, il problem solving, la creatività e la capacità di sostenere una conversazione credibile con un essere umano. La cosa interessante è che nemmeno i suoi programmatori riescono a comprendere appieno la complessità di ciò che avviene all’interno della macchina, ma il risultato è senza dubbio eccezionale.
In tutto questo, la domanda del 1950 rimane: le macchine possono pensare? O piuttosto sarebbe meglio affermare che questo tipo di macchine sono solo in grado di imitarci straordinariamente bene? C’è chi afferma senza mezzi termini che la parola intelligenza in questo caso è fuori luogo, a meno che non la si circoscriva ad alcune specifiche capacità. Nello stesso articolo, Turing si chiedeva quale differenza ci fosse tra noi e una macchina, nel momento in cui questa avesse superato il gioco dell’imitazione. Egli era convinto che l’evoluzione delle macchine “intelligenti” avrebbe costretto gli esseri umani a interrogarsi profondamente sul significato del termine pensare. Ciò che di sicuro l’intelligenza artificiale oggi non è in grado di fare (per molti addirittura mai) è essere cosciente di ciò che sta imitando. Un chatbot può rispondere mostrando empatia e comprensione, può dare risposte eticamente corrette, può mostrarsi amichevole e super partes, ma non è cosciente del senso di ciò che sta dicendo, né ha coscienza di sé. Per noi il pensiero è strettamente legato a chi siamo, non è solamente una rielaborazione di dati, per quanto complessa. Ha a che fare con le nostre esperienze e con la percezione che abbiamo del mondo, con le emozioni che siamo in grado di provare, con le relazioni che stringiamo e con quanto avviene nel nostro corpo e al nostro corpo. La coscienza, quella realtà che nemmeno la scienza sa definire in modo univoco, è il luogo in cui risiede il nucleo più profondo della nostra identità, laddove, per chi crede, sperimentiamo la presenza intima di Dio. È in questa relazione particolare che sta la nostra libertà, la possibilità di forgiare la volontà e la capacità di prendere decisioni, è qui che impariamo cos’è l’amore, la bellezza, la verità che va al di là di dati e algoritmi. Tutto ciò che una macchina non può fare.
Manuela RiondatoCollaboratrice Apostolica della Diocesi di Padova, laureata in Astronomia e Dottore in Teologia