Chiesa
Robert Francis Prevost, ora Papa Leone XIV, nel 1987 ha conseguito un dottorato in diritto canonico presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino (Angelicum) a Roma. La sua tesi, intitolata “Il ruolo del priore locale nell’Ordine di Sant’Agostino”, riflette una visione della leadership ecclesiastica basata su unità, discernimento e servizio. Quale apporto può dare questa competenza allo svolgimento del suo ministero? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Chizzoniti (nella foto), ordinario di diritto canonico e di diritto ecclesiastico nella Facoltà di Economia e giurisprudenza dell’Università Cattolica, campus di Piacenza.
Professore, di che cosa si occupa il diritto canonico e perché è importante per la vita della Chiesa?
Con il termine diritto canonico intendiamo comunemente
l’insieme del diritto della Chiesa:
disposizioni che spaziano dalla definizione di obblighi e diritti dei fedeli, alla struttura costituzionale e organizzativa della Chiesa (ad esempio ruolo del pontefice e del collegio dei vescovi, articolazioni periferiche come le diocesi); dalle regole circa i sacramenti (battesimo, matrimonio, ordine sacro e dunque requisiti e modalità per consacrare diaconi, sacerdoti, vescovi), agli impegni relativi alla gestione del patrimonio (amministrazione e gestione dei beni) senza dimenticare le disposizioni penali recentemente modificate con la Costituzione apostolica Pascite gregem Dei del 1° giugno 2021. Se la gran parte di questo amplissimo complesso di norme è proposta in forma organizzata nel Codice di diritto canonico del 1983 (per la Chiesa latina) e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali del 1990 (per le altre Chiese cattoliche di rito orientale) questi importanti strumenti legislativi non ne esauriscono i contenuti. Al di fuori di essi troviamo ad esempio tutte le norme liturgiche, quelle che regolano la Curia Romana recentemente riformata con la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 2022, ma non solo.
In questo quadro, che ruolo riveste il Vangelo?
Mentre gli ordinamenti civili (dei singoli Stati) trovano delle scelte umane la genesi delle proprie leggi (il legislatore), per la Chiesa cattolica (come in quasi tutte le religioni) è necessario distinguere le norme che derivano dal rapporto con il trascendente (diritto canonico divino rivelato) da quelle generate dall’attività degli organismi della Chiesa a ciò preposti (diritto canonico umano). Le norme di derivazione umana, per loro natura, non possono contraddire quanto stabilito dal diritto divino (interpretabile, ma sostanzialmente immutabile) che diventa vero limite di legittimità per tutte le altre disposizioni che fanno parte del diritto canonico. È il Vangelo ed il suo contenuto il riferimento e il limite invalicabile della norma canonica. Con una terminologia più vicina al diritto degli Stati potremmo definire
il Vangelo la Carta costituzionale della Chiesa.
Il diritto canonico deve sempre rimanere uno strumento a servizio dell’uomo. In che modo?
Non c’è dubbio.
Se la missione della Chiesa è la salvezza delle anime, il suo diritto deve essere modulato per consentire ai fedeli e all’umanità tutta di raggiungere questo traguardo.
Anzitutto assicurando di conoscere “la gioia del Vangelo” e l’incontro con Cristo garantendo il diritto di diventare parte del popolo di Dio attraverso il battesimo. E poi riconoscendo ampio accesso ai sacramenti e garantendo una giustizia capace di promuovere la comunione tra fedeli e gerarchia ecclesiastica.
Quanto è importante in un Papa – in questo caso Leone XIV – la conoscenza e la pratica del diritto canonico?
Una formazione giuridica specialistica, pur non indispensabile, agevola sicuramente l’esercizio delle funzioni maggiormente influenzate da essa come, ad esempio, quelle riconducibili alla potestà di governo: basti ricordare
Ma ritengo che la sensibilità giuridica possa giocare un ruolo importante anche nell’agire quotidiano, tenuto conto di quello che è il cosiddetto magistero ordinario del pontefice nell’esercizio della sua funzione di insegnare. Oggi le forme e i momenti di comunicazione si sono moltiplicati e, pur tenendo conto delle strutture di supporto di cui il pontefice può usufruire, l’attitudine al “pensare giuridico”, lungi dal condizionare negativamente l’esercizio del magistero, può aiutare a proporre un pensiero consapevole del suo impatto sulla Chiesa cattolica e per l’umanità tutta.
Quale apporto può dare allo svolgimento del ministero e dell’azione di governo di Leone XIV?
La dimestichezza con “l’armamentario giuridico” aggiunge uno strumento utile per comprendere e guidare l’azione della Chiesa. Fornisce una sorta di grammatica utile nell’esercizio della funzione di governo di una Chiesa che ha imparato da poco a guardare a sé stessa dalla periferia al centro. Leone XIV con la sua formazione anche giuridica possiede una skill in più per meglio indirizzare, ad esempio, l’azione della Curia Romana tenendo conto di un bilanciamento di poteri e funzioni sempre opportuno per un’efficace azione di governo. Altrettando apprezzabile sarà questa sensibilità nella modulazione dei rapporti con le articolazioni periferiche della Chiesa cui garantire il massimo di autonomia nel rispetto del primato pontificio a lui attribuito. Ed anche nelle scelte più di natura pastorale e sacramentale: la cornice giuridica di riferimento agevolerà, e non condizionerà, l’adozione di scelte opportune per il raggiungimento del fine proprio della Chiesa. Ricordo, solo per esemplificare, alcune delle questioni più spinose emerse con prepotenza negli ultimi tempi quali il ruolo dei laici e in particolare delle donne nella Chiesa, la crisi vocazionale, il cosiddetto sacerdozio uxorato. Tutti temi per la cui analisi
conoscere e comprendere le dinamiche giuridiche, ad esempio, tra diritto divino rivelato, tradizione e diritto canonico umano aiuta non poco nel discernimento.
Non ultimo, infine, l’apporto positivo che potrà derivare per un rilancio del ruolo della Santa Sede in ambito internazionale e in particolare, come ricordato da Leone XIV nel suo primo incontro con il Corpo diplomatico accreditato, della diplomazia multilaterale e della sua consolidata azione di mediazione per il superamento dei conflitti in atto. Il richiamo a pace, giustizia e verità, “tre parole-chiave, che costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede” e al “costante e paziente lavoro della Segreteria di Stato” a me paiono segni di
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una sapiente lettura, giuridicamente ben orientata, del nuovo Pontefice a favore della pace.