Idee
Fin da bambini ci abituiamo a vivere sotto il segno del voto: voti per i compiti, il comportamento, le interrogazioni. A scuola, certo, ma non solo; anche fuori dall’aula, nella società del rating permanente, ci ritroviamo immersi in un flusso continuo di valutazioni sintetiche e classificatorie: recensioni, punteggi, stelline. Il voto ci definisce, ci posiziona. Ma educa? È da questo interrogativo cruciale che parte il nuovo libro di Cristiano Corsini, professore ordinario di pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre e specialista di valutazione in campo educativo: La fabbrica dei voti. Sull’utilità e il danno della valutazione a scuola (Laterza 2025, 176 pagine, 15 euro), con un titolo che è già una dichiarazione di intenti. Nella scuola italiana – questa la tesi – la valutazione non è generalmente uno strumento per far crescere e imparare, bensì un meccanismo che ha poco a che fare con l’apprendimento reale. Una “fabbrica” dove appunto il voto non è che la confezione finale, seriale e superficiale di un processo che spesso non mette al centro lo studente come persona. In questo senso il voto – inteso come giudizio sintetico e ordinale, che sia espresso in decimi, trentesimi, lettere o giudizi come “ottimo” o “sufficiente” – dice solo se stai sopra o sotto nella classifica dei sommersi e dei salvati, poco o nulla di cosa hai appreso e soprattutto su cosa puoi migliorare. Durante la presentazione del libro alla libreria Feltrinelli di Padova, lo scorso 27 giugno 2025, promosso da Sasfal-Cgil (acronimo di Servizio di aiuto e sostegno alle famiglie dei lavoratori) e dall’associazione “Proteo Fare Sapere Padova”, l’autore ha ricordato che «il voto è una scelta comunicativa che classifica, non informa né orienta. Cosa in parte legittima, in una società complessa come la nostra, ma che spesso rischia di trasformare lo studio in un inferno burocratico».
La valutazione che educa: giudizi descrittivi e responsabilità
Eppure un’alternativa esiste, e non è nemmeno così inaudita: da decenni infatti in pedagogia si sa che i giudizi descrittivi sono molto più efficaci; stimolano inoltre la partecipazione degli studenti, invitandoli a prendersi la responsabilità del proprio percorso. «Così la valutazione può davvero diventare relazione di prossimità – ha ricordato Corsini – Essa aiuta a sbagliare per migliorare e a prendere coscienza dei propri errori: implica però un diverso modo di fare didattica». Certo, è una strada più faticosa per docenti e scuole, che richiede tempo, attenzione e competenze. I risultati però, nelle scuole che l’hanno adottata, sono evidenti: miglioramento dell’apprendimento, calo dell’assenteismo e della dispersione scolastica, maggiore consapevolezza degli studenti. «Quando si usano i giudizi descrittivi – ha affermato ancora Corsini – ci sono anche meno ricorsi amministrativi contro le valutazioni: e non perché non si boccia, ma perché c’è una trasparente e continua valutazione del percorso. E questo fa la differenza». Sorprendentemente, il principale ostacolo al cambiamento non è la legge: spesso anzi la normativa italiana è più avanti della prassi scolastica, sottolinea Corsini. Nulla obbliga, per esempio, a un numero minimo di voti in itinere. È piuttosto l’abitudine, la cultura scolastica, una certa pigrizia organizzativa e la pressione sociale (famiglie comprese) a ostacolare la diffusione della valutazione formativa. «La scuola – ha affermato Corsini durante la presentazione – non dovrebbe limitarsi a riflettere la società, ma dovrebbe sfidarla. Se la società è gerarchica, la scuola deve contrastare quella gerarchia, non riprodurla. Se si accontenta di farlo, sbaglia due volte».
Il potere del voto e la responsabilità della scuola
Il nodo, insomma, è anzitutto culturale, e sta nel potere che il voto rappresenta. Un potere che – sostiene Corsini – produce effetti concreti, plasmandoli attraverso la cosiddetta dimensione performativa della valutazione. Un voto basso all’inizio dell’anno, dato a uno studente fragile, può condizionare le aspettative del docente, le opportunità di apprendimento, le occasioni di fiducia. Come “nell’effetto Pigmalione”, profezie che si auto-avverano, confermando le diseguaglianze di partenza. «Il voto – si legge nel libro – serve a riprodurre e legittimare lo status quo, non a trasformarlo». Per questo, con lucida radicalità, La fabbrica dei voti smaschera la funzione ideologica del voto come strumento di selezione e di colpevolizzazione dello svantaggio: «Il vantaggio diventa merito, il privilegio diritto, lo svantaggio colpa». È una denuncia che interroga direttamente il senso della scuola in una società democratica. Se la scuola serve a educare cittadini, non può accontentarsi di classificare individui: deve insegnare a pensare, a imparare dagli errori, a collaborare, a crescere. Per farlo, però – come mostra Cristiano Corsini – serve ripensare alla radice le pratiche di valutazione.

La fabbrica dei voti. Sull’utilità e il danno della valutazione a scuola di Cristiano Cordini (Editori Laterza, 2025, 176 pagine, 15 euro). I voti ci accompagnano per tutta la nostra carriera scolastica, che siano espressi in numeri o in giudizi. Si è sempre fatto così. Ma è una buona ragione per continuare a farlo? Siamo sicuri che un sistema scolastico che mette al centro i voti sia il più efficace? O è invece preferibile valutare diversamente?