L’Italia è cresciuta di oltre il 16 per cento di Prodotto interno lordo dal punto più basso della pandemia (2020) a oggi. Una performance molto migliore della media europea che si ferma al 12,3 per cento. Eppure gli stipendi reali, dal 2021 a tutto il 2024, stando ai dati dell’Ocse (l’Organizzazione intergovernativa per la cooperazione e lo sviluppo economico che dal 1961 unisce 38 Paesi) sono calati del 7,5 per cento. I dati della Banca centrale europea misurano invece il calo del potere d’acquisto di lavoratori dipendenti e pensionati italiani con un meno 5,8 per cento. Dato minore, ma comunque anomalo: Svezia e Repubblica Ceca hanno fatto peggio, è vero, ma Spagna e Olanda hanno fato registrare valori in crescita.
Com’è stato possibile tutto ciò?
L’inflazione ha fatto certamente la parte del leone, erodendo la capacità di spesa in particolare dei nuclei familiari più fragili, dal momento che l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità – e in particolare degli alimentari – è stato ancora più sensibile rispetto agli altri prodotti. A far riflettere ancora di più, tuttavia, è il fatto che questa stangata al portafoglio degli italiani è arrivata in anni di crescita, come si diceva all’inizio, e non in una dinamica recessiva in cui si innescano spontaneamente fattori di austerità anche nel comparto privato. La domanda quindi è: dov’è finito il surplus di soldi derivato dall’aumento del Pil, se non nelle tasche dei lavoratori dipendenti? Non è facile arrivare a una risposta univoca, quel che è certo è che questi dati offrono una base scientifica a uno dei refrain che spesso sentiamo ripetere in questa fase storica: in Italia, come in tutto l’Occidente, ci sono ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. I nostri Paesi si stanno disegualizzando e la classe media si sta sgretolando. Ora abbiamo le prove di una redistribuzione profonda del reddito da lavoro dipendente verso altre direzioni e questo rischia di mettere a rischio ben presto anche la tenuta del nostro sistema sociale. Sia perché accelera la crisi di un welfare che minaccia di non riuscire più a far fronte alla moltitudine di richieste a cui viene sottoposto. Sia perché l’apprensione e la frustrazione a cui viene sottoposta una grande fascia della popolazione italiana può esplodere in proteste di piazza e disordine pubblico. L’editorialista del Corriere della sera Federico Fubini avanza anche l’ipotesi che la sensazione legata all’impoverimento generale sia uno dei fattori che hanno portato al riempimento delle piazze per Gaza dello scorso fine settimana.
Un ulteriore dato a descrizione dell’attualità italiana è uscito, nei giorni scorsi, dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi 2024: il 43 per cento degli italiani non paga l’Irpef, il 12 per cento versa 26 euro all’anno e chi guadagna più di 60 mila euro paga per due. In definitiva, quasi l’80 per cento dell’imposta viene pagata da 11 milioni di contribuenti, mentre i restanti 31 milioni pagano solo il 23 per cento. Un disequilibrio preoccupante, ma costante nel nostro sistema-Paese. Tornano a fare capolino, nel nostro discorso, vecchi fantasmi: l’evasione fiscale rappresenta certo una componente di quel 43 per cento che pare non avere redditi e non paga Irpef; il vetusto sistema dei contratti che non funziona più, secondo gli esperti, perché legato a regole obsolete che non riescono più a garantire davvero rappresentanza e contrattazioni. Infine, c’è qualcuno che quella ricchezza prodotta l’ha messa in tasca, e torniamo dunque alla domanda iniziale: dove sono finiti quei soldi? Non certo ai 16,5 milioni di lavoratori dipendenti. E stando alle analisi, nemmeno al comparto manifatturiero, che non è voce di quella crescita di Pil (anzi, spesso e decrescita). Per capire qualcosa in più occorre bissare alla porta della propria banca (la redditività netta del settore – cioè la capacità di guadagnare – è del 36 per cento, dieci volte di più del manifatturiero), da qui una serie di interrogativi sulle condizioni con cui famiglie e imprese accedono al credito. E poi le società a controllo pubblico, il cui fatturato negli ultimi anni è cresciuto del 30 per cento, con lauti dividendi staccati ai soci, tra i quali lo Stato.