Chiesa | Diocesi
Liturgia, un dono eccedente. Il nuovo saggio di don Sebastiano Bertin
«Perché questo spreco?» Un saggio di don Sebastiano Bertin, vicario parrocchiale a Monselice e docente all’Istituto di liturgia pastorale
Chiesa | Diocesi«Perché questo spreco?» Un saggio di don Sebastiano Bertin, vicario parrocchiale a Monselice e docente all’Istituto di liturgia pastorale
Il libro di don Sebastiano Bertin – «Perché questo spreco» (Mt 26,8). La celebrazione come esperienza di dono (Cittadella Editrice, 19.50 euro) – «intende cogliere soprattutto nella festa la “trasgressione” rispetto a un ordinario spesso schiacciato tra i diritti e i doveri: in questo tempo “trasgredito”, riempito di azioni “trasgressive”, si rivela e si lascia incontrare l’Altro, Colui che è sempre eccedente e sproporzionato rispetto alle misure umane». Scrive così, nella prefazione, don Loris Della Pietra, direttore dell’Istituto di liturgia pastorale di Santa Giustina, Padova. «Non è difficile cogliere la vicinanza tra la festa e la liturgia cristiana e non è difficile riconoscere come la liturgia abbia bisogno di ritrovare il suo profilo libero e liberante, gratuito ed eccedente e, quindi, autenticamente religioso – continua don Della Pietra – La stessa pratica sacramentale, affrancata dalle rigide maglie del dovere, può riscoprire nello spreco la via dell’incontro liberante e salvifico tra Dio e l’uomo. Il rito cristiano è e può esserlo ancora di più come il vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso che una donna versò sul capo di Gesù mentre era a tavola (Mt 26, 7): dispendio di azioni gratuite che non possono essere castigate da mire troppo interessate che puntano al solo tornaconto o a preoccupazioni di stampo moralistico che pretendono di rinvenire nelle conseguenze del gesto rituale la sua bontà o la sua efficacia». Don Della Pietra si chiede: quale guadagno per le nostre liturgie da una frequentazione delle logiche dello spreco? «Innanzitutto, celebrare “senza misura” significa reagire e ritornare ad un dono che è stato dato “senza misura”. Mediante le dinamiche rituali la liturgia fa sperimentare e ricorda che è il dono ad avere la precedenza e a fondare ogni diritto e ogni dovere. Nella nostra epoca anche gli oggetti di culto soggiacciono alle regole del mercato e del marketing (e anche ad alcune devianze quali la serialità e il kitsch): il costoso e il magnificente nel culto non sempre sono sinonimo di bello e spesso pongono l’oggetto in quanto tale al centro, una sorta di idolo che attrae e seduce, e pertanto una contro-testimonianza dell’adorazione dell’unico Dio. Nella liturgia gli alimenti sono per essere consumati e gli spazi per essere abitati, in qualche modo “sacrificati”, e i beni di questo mondo devono entrare nelle logiche del rito dove non c’è interesse o tanto meno rimborso. Una liturgia rispettosa dei poveri non è una liturgia asciutta e avara, ma una liturgia che permette che anche i poveri o una comunità povera possano celebrare in uno spazio bello e con parole dignitose, affrancandosi almeno per un po’ di tempo dalla tirannia della miseria e delle disparità sociali e anticipando i cieli nuovi e la terra nuova».