Idee
Malattie rare. Una sfida quotidiana
Ostacoli Quando la malattia rara colpisce un figlio, cambia tutta la famiglia. Tra progetti inclusivi e fatiche, i genitori non possono essere lasciati da soli
IdeeOstacoli Quando la malattia rara colpisce un figlio, cambia tutta la famiglia. Tra progetti inclusivi e fatiche, i genitori non possono essere lasciati da soli
Sono molte le malattie rare che interessano la vita non solo di una persona ma dell’intera famiglia, spesso costretta a muoversi in solitudine all’interno di un contesto a tratti ancora avvolto nel buio della poca conoscenza. Per questo è importante il confronto continuo, tramite le associazioni, con chi condivide la stessa esperienza e la sensibilizzazione della società. Cinque sono, per esempio, nell’ultimo anno le nuove diagnosi di sindrome di Angelman accolte dall’associazione Or.S.A. in Veneto. La malattia del neurosviluppo è caratterizzata soprattutto da un grave ritardo mentale e psicomotorio, associati a un linguaggio assai limitato se non assente, crisi epilettiche e mioclonie. «Quando arriva, la diagnosi è devastante – racconta Rachele Conte, mamma di Anna e referente dell’Organizzazione sindrome di Angelman per il Veneto – Vengono colpiti diversi aspetti della vita del ragazzo ma anche della famiglia, specialmente dei fratelli che, purtroppo, spesso vengono lasciati in secondo piano dai genitori, aumentando in questi ultimi un senso ancora maggiore di ansia e frustrazione». Questo è dovuto anche alle difficoltà che si incontrano ogni giorno nel cammino, capaci anche di minare velocemente i progressi ottenuti con impegno: «I piani di riabilitazione pubblici si interrompono non di rado all’adolescenza – continua Anna – Quando presenti, gli interventi in convenzione sono limitati, come succede con le sedute di comunicazione aumentativa e alternative, di soli 45 minuti a settimana e con pochi professionisti a disposizione». Una carenza di figure specializzate riscontrabile sovente anche in ambito scolastico: «Capita che i professori non conoscano bene la disabilità e non venga garantita la totale copertura di assistenza ai nostri figli. È una discriminazione che si accompagna anche a una inclusione in diversi casi presente solo sulla carta. Non si parla ai coetanei dei punti di forza e di debolezza della sindrome né ci si impegna in una progettualità che integri il ragazzo con disabilità. Tutto ciò che una persona con malattia genetica rara acquisisce a livello di competenze e autonomia durante l’infanzia e l’adolescenza risulta fondamentale poi nella sua età adulta». In quest’ottica diventano ancora più importanti le iniziative mirate a una maggiore inclusione nella società, che però si riducono soprattutto nei periodi estivi portando le famiglie a sostenere un peso ingente per tre mesi.
Una constatazione, quella di Conte sul senso di abbandono provato dai genitori, che trova d’accordo anche Anna Bellesso, mamma di Adele: «Nessuno si avvicina per chiederti come stai o per aggiornarti sugli aiuti esistenti. All’interno di una burocrazia molto pesante con cui bisogna confrontarsi, sembra che debbano essere comunque i genitori a cercare sempre soluzioni e sussidi necessari per la vita di tutti i giorni, ma spesso non c’è materialmente il tempo date le varie incombenze da seguire». Impegni, anche inattesi, che si aggiungono a un quadro sanitario – nello specifico quello della sindrome di Rett – che trasforma la quotidianità del paziente e di chi se ne prende cura, ruolo ricoperto nella maggior parte delle volte dalla mamma che, in taluni casi, abbandona anche il lavoro per dedicarsi completamente a una nuova vita. La persona con sindrome di Rett – spesso di sesso femminile – manifesta nei primi anni di vita anche una brusca regressione dello sviluppo psicomotorio, che successivamente si stabilizza accompagnandosi però ad atrofia e scoliosi, responsabili di un impedimento alla deambulazione nella maggior parte dei casi, per i quali è necessario sempre un accudimento continuo. «È comunque importante pensare a una loro autonomia che noi abbiamo trovato in alcune attività di un’associazione, economicamente a nostro carico. Far partecipare nostra figlia a brevi gite con altri ragazzi garantisce a lei la possibilità di uscire senza la famiglia, con cui magari non si muoverebbe come invece succede con operatori e amici, e per i genitori l’occasione di prendersi del tempo per sé stessi», evidenzia Bellesso.
Proprio sull’inclusione lavora dal 2008 anche l’associazione padovana Uniti per crescere, fondata da medici e genitori dei pazienti con malattie neurologiche, spesso rare e legate alla disabilità. Con particolare attenzione ai più piccoli sono stati pubblicate quattro storie attraverso cui s’intende parlare di malattie con un linguaggio accessibile. Una sfida certamente non facile ma che racchiude anche l’esperienza maturata dall’associazione con il progetto di inclusione scolastica: «Avevamo subito deciso di accompagnare i nostri bambini all’interno delle loro classi – ricorda la vicepresidente dell’associazione, Maria Roberta Colella – Un medico specialista forniva informazioni puntuali sulla malattia anche ai docenti, mentre agli alunni veniva presentato il loro compagno. Un mezzo adoperato è stato quello del racconto, attraverso cui veicolare emozioni e nozioni sulla patologia». Da qui nasce la collana editoriale curata dallo scrittore Luigi Dal Cin, vero strumento per parlare anche in generale della disabilità, grazie al percorso che ha preceduto la sua realizzazione: «Le storie sono il frutto di un lavoro personale dell’autore, che ha incontrato sia i medici sia i bambini, entrando nelle loro case e scuole, in dialogo costante con i genitori – continua Colella – La lettura può essere uno strumento di conoscenza e di sostegno anche ai docenti per renderli più consapevoli dell’alunno con malattia neurologica o con disabilità che hanno di fronte. C’è ancora parecchio da fare per raggiungere l’inclusione e l’attenzione su questi temi deve sempre rimanere alta e continuamente sollecitata, perché fa paura solo ciò che non si conosce. Dopo aver letto il libro con protagonista Matteo, un bambino ha scritto una bellissima frase: “se Matteo fosse un mio amico, io gli vorrei tanto bene”».

Seguendo una tradizione iniziata nel 2020, anche quest’anno nei giorni prima e dopo il 28 febbraio l’Università degli Studi di Padova, l’Azienda Ospedale-Università Padova e il mondo del sociale accendono i riflettori sulle malattie rare, proponendo momenti di studio e di riflessione su tematiche relative a questo importante ambito della medicina, per fare il punto su alcune progettualità in essere riguardanti la presa in carico dei pazienti. I temi affrontati quest’anno variano dalla transizione delle cure dall’età pediatrica a quella adolescenziale al ruolo del mondo dell’associazionismo nel contribuire a fornire una “cura globale”, fino al confronto su best practices assistenziali tra aziende e coordinamenti regionali. Il programma è su www.aopd.veneto. it/Padova-Febbraio-Marzo-2025- Dedicato-alle-Malattie-Rare