Chiesa
Questa Nota dottrinale del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata da Papa Leone XIV il 7 ottobre (memoria della Vergine del Rosario), evidenzia una continuità di magistero tra Papa Prevost e Papa Francesco. Non è la prima volta: l’abbiamo vista con l’esortazione apostolica Dilexi te (firmata il 4 ottobre). Se lì si aveva come oggetto il fatto che “Gesù si identifica ‘con i più piccoli della società’ e come, col suo amore donato sino alla fine, mostra la dignità di ogni essere umano, soprattutto quando ‘più è debole, misero e sofferente’” (Dilexit nos 170), affinché “tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri” (Dilexi te 2 e 3); ora, con Mater populi fidelis, l’attenzione si rivolge a colei nel cui volto, nella cui presenza e vicinanza, “i poveri incontrano la tenerezza e l’amore di Dio […]. Il popolo semplice e povero non separa la Madre gloriosa da Maria di Nazaret, che incontriamo nei Vangeli. Al contrario, riconosce la semplicità dietro la gloria, e sa che Maria non ha cessato di essere una di loro” (n. 78).
Il legame tra Maria e i poveri è dunque l’oggetto reale di questa Nota dottrinale: non si può parlare, infatti, della cooperazione di Maria all’opera della salvezza nell’allora della sua storia terrena e nell’oggi della sua condizione celeste senza riferirsi a questa esperienza. La Madre di Gesù viene infatti gratuitamente donata come Madre interceditrice ai credenti (e dei credenti) quale “prototipo, modello ed esempio di ciò che Dio vuole realizzare in ogni persona redenta” (n. 14; cfr. nn. …) perché la relazione che ne segue disponga allo sviluppo di quel discepolato che accoglie il Christus totus: il Cristo povero, con i poveri, rappresentato dai poveri, che incarna e condivide con tutta la creazione attraverso il Vangelo molteplicemente inculturato il Dio che si rivela “come amico e liberatore dei poveri, Colui che ascolta il grido del povero e interviene per liberarlo (cfr Sal 34,7)” (Dilexi te 17).
Per questo l’amore a coloro che sono poveri – in qualunque forma si manifesti tale povertà – è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio” (Dilexi te 103). Una Chiesa che sia così in grado di rinnovarsi e aggiornarsi: “l’amore per i poveri è un elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli […]. Infatti, ogni rinnovamento ecclesiale ha sempre avuto fra le sue priorità questa attenzione preferenziale ai poveri, che si differenzia, sia nelle motivazioni sia nello stile, dall’attività di qualunque altra organizzazione umanitaria” (Dilexi te 103).
Una simile devozione mariana, che risponde alla vicinanza della Madre attestata dalle Scritture (cfr. nn. 39-42), “produce una pietà mariana ‘popolare’, che ha diverse espressioni nei diversi popoli. I volti molteplici di Maria – coreano, messicano, congolese, italiano e tanti altri – sono forme di inculturazione del Vangelo che riflettono, in ogni luogo della terra, ‘la tenerezza paterna di Dio’” (n. 79). Questa pietà mariana non rende la donna di Nazaret “un oggetto di culto che viene posto accanto a Cristo”, ma sempre la “inserisce nel mistero di Cristo” (n. 11) e della Chiesa.
Quando invece questo dovesse avvenire, per i più svariati motivi di ordine storico, culturale e teologico, ecco che la devozione mariana si allontana dalla sua natura e dal suo fine.
“Quando ci sforziamo di attribuirle funzioni attive, parallele a quelle di Cristo, ci allontaniamo da quella bellezza incomparabile che le è propria” (n. 33), smarrendo così il significato delle espressioni poste dal Concilio Vaticano II a fondamento del capitolo mariano della Lumen gentium: inclusione e partecipazione. “L’espressione ‘mediazione partecipata’ può esprimere un senso preciso e prezioso del posto di Maria, ma se non compresa adeguatamente potrebbe facilmente oscurarlo e persino contraddirlo. La mediazione di Cristo, che per certi aspetti può essere ‘inclusiva’ o partecipata, per altri aspetti è esclusiva e incomunicabile” (n. 33; cfr. nn. 28-29).
Alla luce di queste premesse (il Christus totus povero nei poveri, Maria che rimane la serva povera e piccola del Signore, la natura e il fine della devozione mariana nella Chiesa, il non rendere Maria un oggetto di culto che viene posto accanto a Cristo), la Nota esamina alcuni titoli mariani presenti nel culto e nella teologia cattolica per dirne la correttezza e l’opportunità. Non per imporre una uniformità, ma per promuovere la sua legittima pluralità di espressioni quali sorgenti (cfr. n. 30) che dispongono (cfr. n. 66c) ad accogliere la grazia santificante “che solo il Signore può infondere in noi” (n. 46), evitando “ogni strumentalizzazione politica di questa vicinanza della Madre” (n. 44).