Maturità e rispetto. Sono due termini che si sono associati in maniera forte durante i giorni scorsi dedicati alle prove dell’Esame di Stato.
Maturità, appunto: perché c’è stata una vera e propria invasione sui media di racconti, commenti, cronache, interviste e quant’altro sull’ultima tappa scolastica dei nostri studenti appena maggiorenni. E qui viene da fare una prima riflessione.
Premesso che l’esame di Stato, la Maturità, è davvero una tappa importante nel percorso di un giovane, viene il dubbio che la comunicazione di massa la stia inflazionando. Pagine e pagine di giornali rimandano le tracce, commentano gli umori e le sensazioni, creano una cappa di estrema sensazionalità su quello che dovrebbe essere invece un momento non certo intimo – ha una sua “sacralità” come tutti i riti di passaggio – ma sicuramente un po’ più “normale” di quanto viene presentato.
Fare la Maturità è da sempre un rito collettivo celebrato anche da musica e film, e di sicuro corrisponde anche a un momento che fotografa la cultura del Paese (il tema del rispetto, ad esempio, può aiutare) ma forse non bisognerebbe perdere l’equilibrio tra l’evento e la sua esaltazione mediatica. Qual è il rischio? Quello di far apparire straordinariamente eccezionale un passaggio generazionale che è invece nell’ordine delle cose. E di conseguenza caricare di attese, aspettative, responsabilità un gruppo di giovani che in fondo stanno facendo qualcosa di assolutamente ordinario, come crescere. Se ogni tappa della vita viene presentata come un Tappone dolomitico fondamentale del Giro d’Italia, lo straordinario nell’ordinario, si falsano le prospettive. E adesso che ho fatto la Maturità? Si aprono strade, non siamo in vetta.
Detto questo, eccoci al tema del rispetto. Tra le tracce della prima prova sembra che quella più gettonata dagli studenti italiani sia stata proprio quella dedicata al rispetto inteso come valore fondante della convivenza civile. Il testo, tratto da un articolo di Riccardo Maccioni pubblicato su Avvenire, sottolinea come la parola “rispetto” sia stata scelta da Treccani e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito come parola dell’anno, nell’ambito del progetto “Le parole valgono”.
La sottolineatura è molto interessante. Evidentemente tra i nostri giovani quello del rispetto è un tasto delicato. Da tempo se ne parla nelle scuole italiane, sicuramente nelle aule scolastiche, dove talvolta si ha a che fare con episodi di mancanza di rispetto (violenze, bullismo, prevaricazioni, specchio peraltro di una società complessa che nella scuola si riversa con tutte le sue contraddizioni). Il Ministero ha più volte messo a fuoco il tema, anche in relazione ai programmi e ad azioni di politica scolastica decise. Trovare una forte rispondenza al tema nelle scelte di esame è un bel segnale.
Evidentemente questi nostri giovani così fragili – quante volte c’è modo di sottolineare l’incapacità, ad esempio, di reggere le frustrazioni (anche di fronte a casi di cronaca drammatici e incredibili) – alzano il tiro e forse chiedono aiuto. Rispetto, responsabilità, convivenza civile, inclusione, impegno personale.
Non è strano. I giovani sanno puntare in alto, è nel loro Dna cercare le cose grandi. Vale la pena di raccogliere la provocazione e proprio per questo tenere anche i piedi per terra, non costruire montagne dove ci sono solo colline, la “prova della vita” dove invece c’è solo – senza sminuire, si intende – un passaggio generazionale che andrebbe ricondotto a maggiore normalità. Con rispetto.