Idee
Nel 2024, la popolazione residente in Italia tra 15 e 89 anni è composta per quasi il 9 per cento da cittadini stranieri e per circa il 3 per cento da cittadini italiani per acquisizione. Per gli stranieri il lavoro è l’obiettivo principale del loro progetto migratorio e in questo momento in cui emergono forti difficoltà nel reclutamento dei lavoratori, il loro apporto è divenuto fondamentale.
Il quindicesimo Rapporto annuale Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia pubblicato dal Ministero del Lavoro a fine luglio evidenzia che nel 2024 il numero di occupati ha raggiunto i 24 milioni; di questi gli stranieri sono oltre 2,5 milioni, il 10,5 per cento del totale. Rispetto al 2023, l’incremento è di 350 mila unità (più 1,5 per cento) e riguarda prevalentemente gli stranieri. La quota di occupati 15-64enni tra i cittadini dei Paesi non dell’Unione Europea, nel 2024, è del 57,6 per cento, il 46,5 per cento (meno 28,7 punti percentuali) donne. L’86 per cento degli occupati stranieri (oltre 2,1 milioni), ha un contratto di lavoro dipendente (il 79 per cento a tempo indeterminato) e i settori interessati sono: l’agricoltura (44,1 per cento), le costruzioni (35,8 per cento), l’industria (24,8 per cento), il commercio (15,4 per cento) e altre attività nei servizi (15 per cento).
«L’apporto degli stranieri, in particolare non comunitari, oggi è parte integrante del mercato del lavoro veneto – spiega Letizia Bertazzon, coordinatrice dell’Osservatorio mercato del lavoro di Veneto Lavoro – L’inserimento continua a essere caratterizzato da pochi ambiti con profili professionali sbilanciati verso il basso soprattutto se comparati con i lavoratori italiani. In molti casi però gli stranieri hanno un progetto migratorio in divenire, sono molto mobili nel territorio e anche nel mercato del lavoro e sono sempre alla ricerca di nuove e migliori opportunità. Nell’ambito agricolo per esempio buona parte dei lavoratori che transitano in Veneto fanno un’unica esperienza e poi spariscono dai nostri radar perché l’agricoltura è un ambito di primo ingresso e poi i percorsi evolvono in Italia ma anche all’estero. Purtroppo la domanda di lavoro degli stranieri soprattutto non comunitari appena arrivati, si concentra soprattutto su profili molto bassi che non richiedono particolari qualifiche o competenze per essere svolti. Questa offerta nel corso degli anni è andata a intercettare un bisogno in alcuni ambiti particolari: il lavoro domestico, l’agricoltura, i servizi turistici; anche nell’agroalimentare e nel metalmeccanico c’è una presenza molto elevata. Sebbene professioni a bassa qualificazione e instabilità contrattuale rimangano caratteristiche più comuni nei percorsi lavorativi degli stranieri che degli italiani, emergono spiragli di un timido cambiamento e di una lenta assimilazione e comunque negli anni questa è diventata una presenza strutturale, imprescindibile».
In un contesto caratterizzato da un significativo trend di diminuzione della popolazione in età lavorativa e quindi «da crescenti difficoltà nel reclutamento dei lavoratori, è divenuto fondamentale l’apporto degli stranieri, in particolare non comunitari, oggi parte integrante del mercato del lavoro veneto – continua Bertazzon – Si tratta di risorse con una più o meno regolare presenza nel territorio regionale, entrate a far parte delle forze di lavoro e che trovano, stabilmente o temporaneamente, occupazione soprattutto in alcuni ambiti e profili professionali. A causa della particolare vulnerabilità di alcune categorie di lavoratori, soprattutto in associazione a determinate modalità di reclutamento, permangono però rischi crescenti di incorrere in situazioni di sfruttamento lavorativo».
Il 30° Rapporto della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) sulle migrazioni 2024, infatti, afferma che i lavoratori stranieri irregolari in Italia sono 321mila, in Veneto si stima siano circa 31mila.
Complesse le dinamiche che rendono difficile far emergere le professionalità dei lavoratori stranieri tra le quali spiccano «il mancato riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero e il peso determinante delle reti informali nel collocamento lavorativo, che spesso indirizzano verso impieghi al di sotto delle competenze possedute – come si legge nel Rapporto Istat Gli stranieri e i naturalizzati nel mercato del lavoro pubblicato a fine giugno scorso – Nel 2021, oltre tre quarti degli stranieri (77,9 per cento) e oltre la metà dei naturalizzati (54,9 per cento) era in possesso di un titolo conseguito all’estero non riconosciuto. Inoltre, nello stesso anno, quasi un terzo degli stranieri e un quinto dei naturalizzati dichiaravano di non avere mai cercato un lavoro coerente con il proprio livello di istruzione». Questo significa meno opportunità di crescita professionale, di riconoscimento economico, di possibilità di scelta. Basti ricordare che la metà delle donne straniere lavora in sole quattro professioni: badanti, colf, addette alle pulizie e cameriere; le naturalizzate hanno qualche possibilità in più perché sono anche commesse, cuoche, bariste, segretarie e infermiere. Un percorso lento quello dell’emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri nel nostro Paese segnato dai molti pregiudizi, dagli stereotipi e dallo sfruttamento che li vuole subalterni.
I dati del rapporto del Ministero del Lavoro evidenziano anche le tante criticità del lavoro dei migranti. Dal gap di genere, che in alcune comunità è altissimo (il tasso di occupazione tra gli egiziani in Italia è 76 per cento, tra le egiziane 4 per cento), ai forti divari tra comunità (tra i filippini il tasso di occupazione è dell’82 per cento, tra i tunisini è al 43 per cento), passando per l’alta incidenza degli infortuni e per una retribuzione media annua dei lavoratori non UE inferiore del 30,4 per cento rispetto a quella del complesso dei lavoratori.