Dal grande schermo che sovrasta la sala parrocchiale di Vigonovo, nella serata di lunedì 23 giugno, fanno capolino i volti e le voci di ragazzi e ragazze palestinesi e ucraini, connessi in videoconferenza. In comune hanno esperienze tragiche, legate alla guerra e alle sue privazioni, ma anche una parentesi di normalità vissuta in Italia nell’autunno scorso. Sono, infatti, una cinquantina i giovani, in maggioranza ucraini, che nel settembre 2024 sono stati ospitati per una settimana da famiglie italiane aderenti alla Rete per la pace della Riviera del Brenta e coinvolti in un progetto che ha permesso loro di visitare la stessa riviera ma anche, soprattutto, di tornare a respirare la quotidianità lontano dai conflitti.
«Serate come questa – esordisce padre Roman Demush, sacerdote greco cattolico collegato dall’Ucraina – non ci fanno sentire soli: queste occasioni sono il grido per la pace».
L’esperienza dell’accoglienza si è rivelata preziosa, spiega il sacerdote, perché ha dato la «possibilità ai nostri ragazzi di vivere la normalità e molti hanno testimoniato, tornati a casa, che è possibile vivere una vita davvero normale». Una vita fatta di piccole cose, di una notte serena senza la paura di dover fuggire in uno scantinato, stare insieme fra amici. «Non aver paura di poter morire – chiosa ancora padre Roman – Non è una condizione normale, la nostra: non sappiamo cosa ci attenderà questa notte, la morte è così vicina a noi. I nostri ragazzi partecipano più a funerali che a compleanni e matrimoni e questo non è normale, non è giusto». Riecheggia forte, nelle testimonianze, quell’appello che papa Leone XIV ha lanciato nei giorni scorsi: «Non dobbiamo abituarci alla guerra». La guerra, infatti, rischia di farsi consuetudine, prassi quotidiana soprattutto per i tanti giovani che non hanno avuto l’opportunità di conoscere altro negli ultimi anni.
«In Italia – ricorda Clareen, collegata dalla Palestina – è stata la prima volta in cui ho visto la differenza tra quello che sto vivendo e quello che vive il resto del mondo. Meritiamo di meglio, di vivere in libertà e in salute. Questa esperienza mi ha cambiato e aiutato a essere una persona diversa».
«Ogni notte le sirene annunciano bombardamenti – le fa eco Sofia, ucraina – Bombardamenti che troppo spesso colpiscono i civili e non i militari».
«Tutto in Italia è splendido – commenta Dalia, da Betlemme – ma ciò che è più bello è che non ci sono posti di blocco per strada». È la Rete a organizzare l’esperienza, farsi carico delle spese attraverso donazioni e raccolte di fondi, a coordinare l’accoglienza nelle famiglie e a pianificarne le giornate a cominciare dai trasporti. Escursioni in montagna, gite a Venezia ma anche incontri nelle scuole e semplici occasioni di svago si alternano nel corso della settimana, contribuendo a costruire legami che poi si mantengono saldi via WhatsApp tra le famiglie italiane e i ragazzi rientrati nei loro paesi. Da accoglienza nasce accoglienza e il progetto, pur senza troppe formalità, sta crescendo e iniziando a strutturarsi per offrire altre opportunità anche di studio in Italia ai giovani coinvolti. Nel frattempo, però, è in programma una settimana di ospitalità nelle famiglie dedicata ai ragazzi e alle ragazze dai 15 ai 20 anni per il prossimo settembre e che vede già una quarantina di adesioni. L’ambizione non troppo velata è quella di superare i numeri del 2024, nonostante le difficoltà logistiche legate all’acuirsi della situazione in Medio Oriente. Ancora oggi, infatti, quando è possibile organizzare un viaggio dalla Palestina il costo del trasferimento è molto superiore a quello dall’Ucraina. Per sostenere la Rete e conoscere le prossime iniziative è possibile seguirla su Instagram su @reteperlapace_rdb o contattarla telefonicamente al numero 388-1963136.