Chiesa
Il poverello, lo chiamano. Francesco d’Assisi, nato Giovanni figlio di Pietro di Bernardone, quando venne al mondo, povero di certo non era. Lo era invece quando morì, dopo aver rinunciato a tutto, aver vissuto da povero tra i poveri e gli emarginati, aver predicato la pace, l’amore per il creato e le sue creature, aver incontrato e dialogato con il mondo musulmano, aver dato una scossa epocale alla Chiesa e alla società. Abbiamo chiesto a fra Paolo Martinelli, vescovo milanese, frate cappuccino e oggi vicario apostolico dell’Arabia Meridionale, una riflessione su tre temi tanto cari a Francesco: l’attenzione ai poveri, la cura del creato e il dialogo con le religioni
Francesco e gli ultimi. La povertà è forse la prima caratteristica che viene in mente di san Francesco: lascia tutte le sue ricchezze e sceglie una vita senza nulla, vicino ai poveri, ai lebbrosi. Una povertà che si traduce anche in fiducia, in Dio e negli altri. Cosa ci dice, oggi, questa sua rinuncia?
Siamo in cammino verso l’ottavo centenario della morte di san Francesco d’Assisi (1226-2026). Uno dei temi fondamentali legati al suo itinerario spirituale è proprio quello dei poveri e della povertà. Francesco è figlio di un ricco mercante, in famiglia ha sempre avuto tutto. Seguiva l’ideale cavalleresco e dell’amor cortese. Non aveva mai sperimentato l’indigenza.
dopo aver provato l’amarezza della sconfitta in battaglia e il carcere, incontra quei lebbrosi che aveva sempre evitato e si ferma con loro, li abbraccia invece di fuggire, inizia a prendersene cura. Poco dopo, nella chiesa diroccata di San Damiano, il Crocifisso gli parla e lo invita a ricostruire la Chiesa che crolla. In Cristo trova l’amore che gli permette non solo di dedicarsi ai poveri, ma di mettersi dalla loro parte, di vivere con loro e come loro, dando origine a un ordine di fratelli in cui si fa voto di vivere “senza nulla di proprio”. Si commuove pensando alla povertà del Figlio di Dio che nasce al freddo e al gelo per la nostra salvezza. Ogni povero e sofferente sarà per lui immagine di Cristo, l’Altissimo che si è fatto piccolo per noi. Francesco e i suoi frati iniziano a curare i lebbrosi e a servire i poveri come risposta a Dio, che si è spogliato di tutto per amore nostro. Alla fine della vita, chiederà di morire nudo sulla nuda terra, povero tra i poveri per ricordare a tutti che l’amore di Dio è la vera ricchezza dell’uomo.
Francesco e il creato. “Laudato sii, mio Signore, per tutte le creature, per sorella nostra madre Terra”: lui li chiamava il creato e le creature, noi oggi parliamo di ambiente e di natura. Papa Francesco ha scritto una delle sue encicliche più importanti sul legame tra l’uomo e la Terra sulla quale viviamo…
San Francesco è conosciuto universalmente per il Cantico di Frate Sole, o Cantico delle creature. Giovanni Paolo II lo ha dichiarato patrono dei cultori dell’ecologia; Papa Francesco ha scritto un’enciclica sulla cura della nostra casa comune, usando come titolo l’espressione più ricorrente del Cantico: Laudato Si’. Si tratta di una lode a Dio Altissimo per e con tutte le creature. Non tutti sanno che Francesco scrisse il Cantico verso la fine della sua vita, quando era malato, sofferente, ormai cieco e segnato nel corpo dal dono delle stigmate, i segni di Cristo crocifisso. Per questo, nel Cantico è presente anche la lode per chi sa sopportare tribolazioni e persino per sorella morte. Cosa ha reso possibile questo modo di sentire tutte le cose come positive, come dono da custodire e curare, nonostante la sua condizione personale sofferente? San Francesco lodava il Signore per le creature anche se non poteva più vederle con i suoi occhi poiché ormai le portava dentro di sé:
era arrivato ad abbracciare il mondo come creazione di Dio.
Il Cantico di Frate Sole è il cantico del bambino, del figlio che riconosce ogni cosa come dono del Padre. Anche oggi, san Francesco ci invita a una conversione ecologica, ossia a cambiare mentalità, a riconoscere le cose come dono di Dio, da amare, coltivare e di cui prendersi cura. La creazione non è materia da manipolare indiscriminatamente, ma dono di Dio per il quale stupirci, ringraziare e innalzare la nostra lode al Creatore.
Francesco e il dialogo con le religioni. Incontrò il sultano, nel pieno della quinta crociata: un incontro tra le religioni in un’epoca di scontro e di guerra. Lei, fra Paolo, è oggi vescovo nel mondo arabo: come vede il rapporto tra le grandi religioni e il tema della pace?
Vivo da oltre tre anni ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Qui, in un Paese islamico, nel 2019, Papa Francesco ha incontrato il Grande Imam della moschera di Al Azhar, 800 anni dopo l’incontro tra Francesco e il Sultano Malik Al Kamil a Damietta. Fu un incontro davvero singolare, al tempo delle crociate. Nessuno dei due ha convertito l’altro, ma entrambi ne sono usciti cambiati: Francesco è tornato più consapevole della propria fede cristiana, anche grazie all’incontro con il sultano. Il Papa e il Grande Imam hanno firmato il profetico Documento sulla fratellanza umana: cattolici e musulmani si sono impegnati a rifiutare ogni violenza in nome di Dio, dichiarando “di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio”. Sulle orme dell’incontro di Damietta,
si è aperto così un nuovo capitolo nella storia del rapporto tra le religioni,
non in competizione o in conflitto tra loro, ma nel rispetto delle differenze, collaborando all’edificazione di un mondo più fraterno, giusto e umano. La fede stessa, ricorda il Documento di Abu Dhabi, “porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”. Il dialogo interreligioso può aiutare a scoprire che la questione di Dio è la vera questione dell’uomo oggi! Quando ci dimentichiamo di Dio perdiamo noi stessi. Persone di fedi diverse possono aiutare tutti a riscoprire la centralità di Dio, fondamento di ogni autentica umana fraternità, desiderosa di promuovere pace e riconciliazione tra tutti i popoli.