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Monselice. Il duello attorno al combustibile. Buzzi Unicem nasconde le carte
Monselice. La cementeria Buzzi Unicem nasconde le carte sul futuro utilizzo del Css inconciliabile con la vocazione ambientale e salutare del Parco Colli
FattiMonselice. La cementeria Buzzi Unicem nasconde le carte sul futuro utilizzo del Css inconciliabile con la vocazione ambientale e salutare del Parco Colli
«Nel 2029 la cementeria di Monselice non chiuderà, non verrà riconvertita, non è nei nostri piani». Daniele Bogni, direttore generale dello stabilimento Buzzi Unicem Monselice, non usa mezzi termini per indicare la strada intrapresa dalla multinazionale. Al tavolo di concertazione invocato dalla consigliera di Forza Italia Elisa Venturini, per discutere del futuro dell’impianto, Buzzi Unicem non si siederà, probabilmente ricorrerà al Tar contro la decisione del comune monselicense di negare la realizzazione del nuovo silos alto venti metri e che dovrebbe contenere silicati di ferro da immettere nella produzione di cemento. E sarà quindi ancora guerra. In virtù di una convenzione tra Comune di Monselice e Buzzi Unicem (necessaria prima di realizzare qualsiasi opera che non sia pura manutenzione) l’amministrazione è disposta a concedere il “via” ai lavori, a patto che si metta nero su bianco che non si bruceranno mai i combustibili da rifiuti (Css) e che lo stabilimento predisponga una riconversione da programmare entro il 2029, quando scadrà l’autorizzazione alla produzione. Ebbene sono stati respinti entrambi i punti. Al centro del dibattito c’è sempre il Css, combustibile solido secondario, come descrive l’Arpav: «Un combustibile ottenuto dalla componente secca dei rifiuti non pericolosi, sia urbani sia speciali, che può trovare impiego in impianti industriali esistenti (cementifici, acciaierie, centrali termoelettriche) in sostituzione ai combustibili tradizionali». I cementifici hanno un altissimo risparmio nell’utilizzare questo materiale. Dal canto suo Bogni assicura: «Noi non abbiamo intenzione di usare il Css, mancano le aziende che lo producono, portarlo qui costerebbe troppo». «Allora firmi quella convenzione – ribatte il consigliere di minoranza Francesco Miazzi, del comitato Lasciateci respirare – La verità è che quando troveranno qualcuno che produce Css qui in zona, lo utilizzeranno eccome».
Buzzi Unicem usa il Css in vari suoi impianti, ma a differenza degli altri stabilimenti quello di Monselice si trova all’interno di un parco naturalistico. Certo ora si brucia il pet coke, che è un combustibile comunque ad alto contenuto di metalli pesanti tossici e cancerogeni, ma l’obiettivo degli albergatori delle Terme e degli agricoltori che hanno investito sulla qualità delle cure, del cibo e del vino, è fermare quell’impianto ad alto impatto che stride con la vocazione ambientale dell’area, oltre a essere difficilmente compatibile con il progetto Maab Unesco promosso dal Parco Colli. La politica ha cercato di intercettare questi nuovi interlocutori, se da un lato il Pd si è sempre dichiarato contro i Css, anche la Lega sembrava essere sulla stessa strada: l’anno scorso i parlamentari leghisti veneti hanno presentato un’interrogazione al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sull’uso di quel rifiuto nei cementifici. Ma la settimana scorsa l’assessore regionale all’agricoltura Giuseppe Pan ha aperto «ad altri possibili combustibili che non siano Css». Per gli ambientalisti non c’è alcun combustibile alternativo a quello derivato dal rifiuto che non siano il metano o l’idrogeno. La faccenda del silos si inserisce in uno scenario in cui l’Italia sta patendo una crisi energetica di dimensioni importanti, in più l’Europa impone tasse sulle emissioni di Co2. Buzzi Unicem ha impianti in Russia, in America, in Algeria, in Brasile, i suoi competitor non sono in Italia, ma in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi che non hanno politiche improntate sull’ecologia. Oggi costa meno il cemento importato dalla Turchia, che non applica tasse sulle emissioni. Per sopravvivere i produttori di cemento devono abbassare i costi e il Css è la soluzione. Un’equazione che sembra incompatibile con il Parco Colli, ma che considera un unico fattore: il mercato. Il co-incenerimento, però, è una pratica che l’Ue ha inserito tra quelle che possono portare danni significativi in quanto contraria agli obiettivi di promozione dell’economia circolare, escludendola dagli investimenti del Pnrr
Con il decreto 41 del 28 dicembre scorso, la Regione ha autorizzato, per il 2022, lo smaltimento nell’impianto della Bassa di oltre 66 mila tonnellate di rifiuti urbani provenienti dalle provincie di Venezia, di Treviso e Belluno.
L’Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente, ha elaborato le informazioni provenienti dalle sue centraline sparse in tutto il Veneto e le ha sintetizzate in un documento per fornire una prima descrizione sulla qualità dell’aria dell’anno appena concluso. Nel 2021, in Veneto, non è stato superato il valore limite annuale del biossido di azoto. Per le polveri sottili (Pm10) e ultrasottili (Pm2.5), invece, non si registrano in alcuna stazione superamenti dei limiti annuali, mentre il valore limite giornaliero del Pm10 è stato rispettato solo da 10 centraline su 37. In generale, però, rispetto ai quattro anni precedenti, è diminuito il numero di giorni di superamento del valore limite giornaliero delle polveri Pm10, grazie anche a un autunno senza episodi di accumulo di rilievo. Per l’ozono, Arpav segnala un diffuso superamento del valore obiettivo, come negli scorsi anni.