Mosaico
Un piccolo oggetto di cinque centimetri di altezza e di diametro, ma di valore inestimabile, torna a raccontare la sua storia millenaria. È il calamaio bizantino del Museo diocesano di Padova, al centro di un innovativo progetto di studio coordinato da Valentina Cantone e Niccolò Zorzi, docenti dell’Università di Padova, in accordo con il museo. Sabato 15 novembre alle 10.30 i due esperti presenteranno lo studio in una conferenza presso il Museo diocesano, dove sarà esposta anche la copia in scala 2:1 realizzata con la stampa 3D, pensata per consentire a persone cieche e ipovedenti di toccare il calamaio e conoscere le storie raffigurate sul manufatto.
Databile al decimo secolo e proveniente da Costantinopoli, il calamaio – in argento dorato, finemente lavorato a sbalzo e cesello – giunse a Padova nel Quattrocento e confluì successivamente nel tesoro della Cattedrale, dove fu riutilizzato come “crismino”, contenitore per l’olio del crisma. Il progetto, nato in collaborazione con il Centro interdipartimentale di ricerca studio e conservazione dei beni archeologici, architettonici e storico-artistici (Ciba) e il laboratorio Digital Cultural Heritage, ha permesso di affrontare lo studio dell’oggetto in chiave interdisciplinare, combinando filologia, storia dell’arte e analisi scientifiche non invasive. Le indagini hanno portato a risultati sorprendenti come una nuova lettura e datazione delle epigrafi incise che celebrano il calligrafo Leone, una rilettura iconografica delle figure incise legate al mito di Perseo e della gorgone Medusa e un approfondito studio dei materiali e delle tecniche di lavorazione.
«Il calamaio bizantino – ricorda Andrea Nante direttore del museo – rappresenta uno degli oggetti più antichi conservati dal Museo diocesano di Padova. Un raro e prezioso manufatto, scelto come elemento centrale della mostra giubilare. L’occasione di questa esposizione ci ha sollecitato ad avviare uno studio più approfondito sull’oggetto, grazie alla collaborazione con il Dipartimento dei Beni culturali dell’Università di Padova. Siamo lieti di proporre gli esiti di questa importante ricerca proprio nell’anno giubilare che celebra anche i 25 anni del nostro Museo».