Idee
A dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, Fondazione Lanza e Facoltà teologica del Triveneto, martedì 18 novembre, hanno promosso il primo di due seminari per valorizzarne l’attualità e inserirla nel contesto della cura della casa comune attraverso una serie di riflessioni etico-teologiche.
Negli ultimi tre anni, gli studi della Fondazione Lanza si sono occupati di dipanare la matassa della vulnerabilità, nelle molteplici chiavi dell’etica ambientale, sanitaria e filosofico-teologica. «All’interno dell’enciclica, però, il termine vulnerabilità non compare mai, figura solo una volta l’aggettivo vulnerabili – riflette Francesca Marin, coordinatrice Progetto etica, filosofia e teologia della Fondazione Lanza, nella sua introduzione – Eppure, rileggendola in questi giorni, continuavo a sentire questa nozione sullo sfondo delle parole di papa Francesco, nell’interdipendenza tra la vulnerabilità dell’ambiente e la vulnerabilità dell’essere umano».
È l’ordito di una trama fitta e complessa, quello che lega l’essere umano con la Terra che abita e che non si limita, come ricorda Simone Morandini, vicepreside dell’Istituto di Studi ecumenici San Bernardino di Venezia, a «dipingere di verde il Vangelo». Il quale aggiunge: «La Laudato si’ ha una struttura concettuale potente: qua e là ci sono questi flash in cui con uno slogan o con una parola efficace papa Francesco riesce a trasmetterla anche a chi magari faticherebbe a seguire. In questo il modello è Francesco d’Assisi: il Francesco papa usa il Francesco santo come una sorta di icona per concretizzare alcuni dei pensieri fin dall’introduzione dell’enciclica».
Un dialogo che si dipana nei secoli e che mette al centro la potenza della creazione ma che, come ricorda ancora il docente veneziano citando il teologo evangelico Jürgen Moltmann «può essere intesa come realtà buona soltanto se guardiamo al futuro della promessa di Dio perché è chiaro che, altrimenti, la nostra esperienza diretta non ce lo permetterebbe. La nostra quotidianità è piena di Covid, di terremoti, di Donald Trump e di altre catastrofi naturali e non, più o meno dannose. Come dire buono questo reale che abitiamo se non nella speranza, se non confidando nella potenza di Dio che sostiene questa bontà?».
La questione ecologica, insomma, non attiene solo alla natura ma è anche antropologica, le cui implicazioni non attengono a un settore limitato, specifico. «Tra questi elementi vediamo la dimensione della cura, della relazione, delle risorse del potere, il riferimento alla natura, ai poveri, alla sfera dell’umano, della vita, e anche a quella dimensione che viene costantemente sottolineata di ciò che è comune».
A chiarirlo è Romana Bassi, ricercatrice e docente dell’Università di Padova: «Il termine cura è tanto presente nel nostro linguaggio da essere dato per scontato, da essere stato considerato non meritevole di particolare attenzione. Ecco, il paradosso è che la capillarità della cura è ciò che l’ha resa quasi invisibile, relegata a contesti su cui la cultura non è stata chiamata a riflettere come quelli privati, domestici». Mettere la cura al centro del discorso etico rappresenta, per Romana Bassi, un rovesciamento della prospettiva passando dal soggetto, l’individuo, alla relazione e all’interconnessione, perfino all’unità fra i soggetti.
«Il grido delle vite povere, impoverite e il grido della Terra stanno insieme, tutto è connesso, per cui non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia – chiosa nella sua relazione Lucia Vantini, docente dell’Istituto di scienze religiose di Verona – Nella Laudato si’ si parla sempre di cura della nostra casa comune e sembrerebbe veramente un po’ ridondante: se la casa comune è nostra, forse, parlare della cura della nostra casa sarebbe stato sufficiente, ma si insiste sul fatto che è nostra ed è comune. Non siamo proprietari, non siamo dominatori e non siamo autorizzati al saccheggio».
Una riflessione, questa, che fa il paio con quella di Elizabeth Green, pastora emerita dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, che stigmatizza la cultura imperante che sembra esprimersi nella massima: beati i consumatori: «La conversione ecologica che cerchiamo – conclude Vantini – è al senso del limite, ma non il limite che contiene, bensì il limite che diventa soglia per altro».
«Il capitolo primo della Laudato si’ tratta abbondantemente dei risultati delle ricerche scientifiche riguardo all’inquinamento, ai rifiuti non biodegradabili, al riscaldamento climatico, al ciclo del carbonio, alle fonti di energia rinnovabile, all’esaurimento delle risorse naturali e alla perdita della biodiversità – chiarisce Antonio Da Re, professore ordinario dell’Università di Padova – A fronte di questi dati che vengono richiamati, la Chiesa non ha particolari soluzioni da offrire e per questo si affida agli scienziati e ai ricercatori e quindi insomma c’è anche questo atteggiamento di umiltà epistemologica».
Un’umiltà ma anche una lungimiranza che, pur insistendo sull’importanza dell’apporto proveniente dalla religione, auspica un dialogo e, come nel caso degli Ogm, non si sbilancia in giudizi. «Permane – continua Da Re – un atteggiamento di preoccupazione nei confronti del paradigma tecnocratico globalizzato che in qualche misura rischia di strumentalizzare la dimensione economica e, a partire da questa, influenzare la dimensione politica».
Un rischio, quello di lasciarsi influenzare solo dall’economia, che ha portato nei giorni scorsi Leone XIV a salutare la Cop30 di Belém con parole dure: «La pace è minacciata anche dalla mancanza del dovuto rispetto per il creato, dal saccheggio delle risorse naturali e dal progressivo peggioramento della qualità della vita a causa del cambiamento climatico».
La figura dell’uomo come attore principale dei suoi destini implica una responsabilità che confligge inevitabilmente con molti dei negazionismi imperanti. «Questo metodo di osservazione, come se l’uomo fosse esterno al mondo dove vive, semplicemente non funziona» ha chiarito don Maurizio Girolami, preside della Facoltà, nell’intervento conclusivo del seminario. Dalla Genesi, il preside trae ispirazione per una riflessione teologica che intreccia quella del teologo Joseph Blenkinsopp individuando uno schema ricorrente: «Nei primi undici capitoli della Bibbia, si ripete lo schema di Dio che crea, della creazione, e della successiva de-creazione. Il caso più noto è quello di Caino e Abele, che comincia a distruggere il fratello, ma l’esempio emblematico è quello di Babilonia, quando si vuole imporre all’umanità un unico potere, un unico governo mondiale. Ma ogni volta che c’è un omicidio, il diluvio, e fenomeni analoghi, che cosa succede? Che dopo la de-creazione c’è una nuova creazione, l’azione di Dio nella storia innanzitutto precede tutto ciò che l’uomo può fare e disfare nella creazione, ma fornisce anche quei criteri che permettono poi alla creazione di ripartire». Bisogna cambiare prospettiva, tornare a interrogarci su cosa possiamo fare ma anche in cosa crediamo. «Non è dalla contemplazione del creato che nasce la fede nel Dio creatore – ha concluso il preside Girolami – Ma è dalla fede nel Dio creatore che si giunge a contemplare il creato come creazione di Dio».
Il secondo appuntamento, “Custodire la casa comune: pratiche politiche e sociali di ecologia integrale”, avrà luogo giovedì 4 dicembre, dalle 16 alle 18.30 presso la sala biblioteca del Centro studi e ricerche F. Franceschi (via del Seminario 5/a). L’incontro vedrà la partecipazione di Marco Marchetti della Sapienza, Alessandra Vischi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Domenico Pompili, vescovo di Verona e promotore delle Comunità Laudato si’, Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. La partecipazione è gratuita, serve iscriversi al seguente modulo: https://forms.gle/yW6A4GFBefHZVY6U8