Chiesa
Quando papa Giovanni XXIII, noto come il “papa buono”, iniziò a riflettere sull’aggiornamento della Chiesa e sulla convocazione di un concilio verso la fine degli anni ’50, l’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle altre religioni non era ancora una priorità. Tuttavia, nel giugno del 1960, lo storico ebreo francese Jules Isaac gli fece visita, ponendo la questione dell’insegnamento cattolico secolare di disprezzo nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo. Papa Giovanni, nel periodo in cui era il cardinale Roncalli, fu testimone diretto della Shoah e si impegnò attivamente per salvare gli ebrei dalle persecuzioni naziste. Accolse favorevolmente la richiesta di Isaac affinché ai cattolici venisse insegnato il rispetto piuttosto che il disprezzo. In seguito a quell’incontro, papa Giovanni incaricò lo studioso biblico, il gesuita tedesco, Augustin Bea, che aveva già presieduto il Segretariato per l’Unità dei Cristiani, di promuovere le relazioni con i non-Cattolici, e gli chiese di preparare un documento (“Jewish document”) sul rapporto tra la Chiesa e il popolo ebraico. Questo fu il primo intervento dello Spirito Santo che fece sì che le relazioni con il popolo ebraico entrassero nell’agenda del Concilio.
Quel documento sarebbe diventato il paragrafo 4 della Nostra Aetate. Appresa la notizia che alcuni prelati europei e nordamericani stavano elaborando un documento sul rispetto nei confronti del popolo ebraico, altri proposero di ampliare la prospettiva. Tra loro c’erano i vescovi del Medio Oriente, in particolare il patriarca greco-cattolico di origine siriana Maximos IV Sayegh. Quest’ultimo espresse la preoccupazione che il dialogo tra la Chiesa e il popolo ebraico, cosa positiva, poteva essere strumentalizzato da Israele, uno Stato che si dichiarava ebraico e che era in guerra con gli arabi. Inoltre, molti palestinesi cristiani e musulmani erano diventati rifugiati quando fu fondato Israele e i diritti di coloro che rimasero erano minacciati dal carattere etnocentrico del nuovo Stato. Maximos IV Sayegh sostenne altresì la necessità di un dialogo con il mondo islamico. Il domenicano egiziano padre Georges Anawati, i Padri Bianchi e altri iniziarono a formulare un paragrafo che esprimesse “stima” per i musulmani, ovvero il paragrafo 3 della Nostra Aetate. Fu anche questo un intervento dello Spirito Santo.
Dopo la morte di Giovanni XXIII, nel 1963, papa Paolo VI continuò il suo lavoro portando avanti il processo di dialogo. Nella sua enciclica Ecclesiam Suam del 1964 egli promosse un dialogo di rispetto esteso a tutta l’umanità, con particolare attenzione verso coloro che professano altre fedi. “Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell’Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afroasiatiche”. (n.111). Lo Spirito Santo continuava la sua opera.
Il rapporto di reciproco rispetto tra Bea e Maximos IV Sayegh fu un elemento importante che contribuì a trasformare il pensiero cattolico nei confronti degli ebrei, dei musulmani e dei credenti di altre fedi, esortando al rispetto piuttosto che al disprezzo e al biasimo. Bea stesso testimoniò questo cambiamento in un libro pubblicato poco dopo il Concilio. Rivolgendosi ai Padri conciliari, in particolare a Maximos IV e ai prelati mediorientali, Bea scrisse: “A questa Dichiarazione si può applicare a buon diritto l’immagine biblica del granello di senape. Dapprima, infatti si trattava di una semplice dichiarazione breve che concerneva l’atteggiamento dei cristiani verso il popolo ebraico. Col trascorrere del tempo poi, e soprattutto a motivo della discussione tenuta in quest’aula, quel granello, per vostro merito, è maturato fino a diventare quasi un albero, su cui molti uccelli già trovano il loro nido. In un certo senso tutte le religioni non cristiane vi trovano posto, così come l’attuale Papa ha incluso tutti i non cristiani nella sua Lettera Enciclica Ecclesiam Suam” (La Chiesa e il Mondo Ebraico, 166).
In un mondo in cui l’insegnamento del disprezzo è tornato pericolosamente a diffondersi, il documento Nostra Aetate, pubblicato esattamente sessant’anni fa, deve rappresentare una lettura obbligatoria. Questo documento ha segnato l’inizio di un percorso volto a insegnare il rispetto per i credenti di altre fedi. Nei decenni successivi alla sua pubblicazione, i membri della Chiesa cattolica sono stati invitati non solo a parlare con i fedeli di altre fedi, ma anche a instaurare con loro un dialogo, a stringere amicizie e a collaborare per ricomporre un mondo lacerato.