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Per la prima volta l’Opera casa famiglia di Padova ha presentato il proprio bilancio sociale. Non soltanto numeri, dunque, ma la volontà di raccontare una missione che da oltre sessant’anni accompagna ragazze adolescenti in situazioni di difficoltà. La fondazione, nata nel 1964 per intuizione del vescovo Girolamo Bortignon, ha sede nella parrocchia della Madonna Pellegrina. È un’opera di carità della Chiesa di Padova, che oggi accoglie fino a otto minorenni, seguite da sette operatori professionisti e sostenute da una ventina di volontari.
Il 2024, anno celebrativo del 60° di fondazione, si è chiuso con un segno positivo: entrate complessive per 359.312 euro, uscite per 342.854 e un attivo finale di oltre 16 mila euro, a fronte del passivo registrato l’anno precedente. «Non dobbiamo fermarci alle cifre – spiega il presidente Stefano Tinazzo – ma restare concentrati sulla nostra missione: fare il bene delle ragazze e confidare nella Provvidenza. La carità è anche faticosa, ma ci crediamo e andiamo avanti».
Accanto ai dati contabili ci sono le storie e i volti di chi vive quotidianamente la comunità. «Accogliamo ragazze dai 13 ai 18 anni – racconta Emiliano Marchioro, coordinatore dell’équipe educativa – provenienti da tutta Italia e anche dall’estero, dal Nord Africa ai Paesi dell’Est. Tutte arrivano su mandato del Tribunale dei Minorenni e insieme ai servizi sociali costruiamo progetti di vita personalizzati. La comunità è per loro uno spazio di accoglienza, ascolto e valorizzazione, spesso dopo aver vissuto situazioni familiari disfunzionali». Scuola, sport e anche volontariato entrano a far parte di un percorso che ridà fiducia e orizzonte.
Nel bilancio sociale trovano spazio anche le tante reti che rendono sostenibile l’Ocf: il contributo della Diocesi con i fondi dell’8 per mille, le donazioni dei sostenitori, il Banco alimentare che fornisce generi di prima necessità, la collaborazione con la Facoltà di psicologia dell’Università di Padova attraverso il progetto “Mentor Up”, l’associazione Elisabetta d’Ungheria che coordina i volontari. Realtà diverse che si intrecciano per dare respiro a una casa che vuole mantenere uno stile «familiare».
Non mancano i segni concreti, capaci di raccontare un mondo. Tinazzo ricorda una ragazza che, ricevendo una spremuta d’arancia, disse: «A me nessuno l’aveva mai preparata». Un gesto minimo che rivela quanto il clima di normalità possa incidere nella vita di chi porta ferite profonde.
Tra le novità dell’ultimo anno c’è l’apertura del Centro diurno Oikos, realizzato con la cooperativa Bottega dei ragazzi: al piano terra della struttura offre ogni pomeriggio spazi educativi e relazionali a una decina di adolescenti segnalati da scuole e Servizi sociali.
Guardando avanti, la sfida è rendere sostenibile anche il nuovo centro, potenziare i rapporti con il territorio e organizzare campagne di crowdfunding per coinvolgere maggiormente amici e donatori. «In sessant’anni – ricorda il presidente – sono passate da qui circa trecento ragazze. Vogliamo continuare a offrire un futuro possibile a chi è nel disagio, nella convinzione che non sono “lontane da noi”, ma figlie e sorelle che la vita ci affida».