Chiesa | Diocesi
«Don Roberto rientrò in canonica, ma il pensiero a quanto aveva sentito non lo abbandonava. Mentre salutava Maria, alla quale ogni primo venerdì portava la comunione, una giovane coppia lo fermò sul pianerottolo del terzo piano: “Dove possiamo trovare un po’ di gioia?”. La domanda lo lasciò senza parole. Pensò al sorriso di Yber, che è il primo degli animatori del grest, anche se non ha il battesimo; allo sguardo di Giusy, dopo la nascita del primo nipotino; ai baffi di Mario, che ogni mattina apre la chiesa; alla serenità di Lucia, ormai costretta in casa, a cui basta la messa del sabato; agli occhi di Markus, quando chiese il battesimo per il figlio; alle parole di fede di Gabriella, davanti alla salma della figlia. “Ma tutta questa gioia, chi la vede in parrocchia?” pensò don Roberto quella sera».
Il racconto, inventato ma verosimile, vuole aiutare a riconoscere due punti che non si possono mai dimenticare quando poniamo mano a un cambiamento pastorale. Il primo, è nella ricerca di vita autentica che ogni adulto, anche oggi, porta in sé. C’è una grande sete di spiritualità intesa come cura dell’interiorità e desiderio di vita pienamente umana, una ricerca che supera le nostre antenne ecclesiali, segnate da stanchezza, frustrazione, un po’ di rassegnazione. E, dall’altra, va detto che le comunità cristiane custodiscono un tesoro di vita fraterna che non sempre trova espressione nel modo con il quale la parrocchia è organizzata. In questa cornice, si possono rileggere gli Orientamenti per la catechesi da poco pubblicati. Ogni scelta è un tentativo, un passo: molte Diocesi lo stanno facendo, dopo sperimentazioni simili a quelle di Padova, nella direzione di ciò che è possibile fare con le famiglie reali, i ragazzi reali, le comunità reali. È evidente che il cambiamento di un ufficio pastorale non può non toccare gli altri: ormai solamente in pochi luoghi si procede secondo una settorializzazione di ambiti, frutto di una cristianità non più presente. Tutti i responsabili diocesani sono chiamati a mettere in secondo piano l’organizzazione di un’agenda prestabilita, che spesso affatica tutti, per ascoltare, invece, con pazienza, ciò che sta accadendo tra Dio e le donne e gli uomini di quel territorio, e così essere con umiltà a servizio di questa opera che sempre precede. Allo stesso tempo occorre guardarsi da un’obbedienza che scarica su chi è superiore alcune scelte, salvo poi criticarle. Ci è chiesto un esercizio di discernimento, a partire dallo sguardo dei più fragili.
Un primo lavoro possibile con il consiglio pastorale parrocchiale potrebbe essere proprio questo: dove vorrei invitare qualcuno per vedere la gioia della fede nelle nostre comunità? E così si condivide con stupore la narrazione di una liturgia dove l’assemblea celebra, di un pellegrinaggio dove quella riflessione ha parlato, di una azione di carità che ha superato il subappalto a pochi. Questa è la comunità che sta generando alla fede, oltre quello che si può programmare. Come possiamo sostenere questa azione di Dio? Come si può celebrare ciò che accade nella liturgia? E dove possiamo invitare anche coloro che si affacciano alla comunità solamente per chiedere un sacramento?
In secondo luogo, è interessante valorizzare il terzo punto sottolineato da Michele Visentin negli Orientamenti: la domanda adulta di qualcosa di decisivo. Questo è lo snodo attorno a cui interrogarsi, con umiltà, con i passi possibili. Molto è stato fatto in questi anni circa la formazione degli accompagnatori dei genitori: è un patrimonio da non disperdere! Non è più pensabile che ogni parrocchia in forma singola possa offrire tutto: la realtà ha già superato questa immagine. Ma è possibile che alcune parrocchie possano pensare, con l’aiuto di adulti già presenti e professionalmente competenti, una serata di laboratorio sulla fragilità e il morire, oppure sulla nascita e il generare, oppure una piccola iniziativa di dono, dove ci si appassiona insieme. E poi condividere una preghiera, una narrazione, un’immagine con tutta la comunità, che così scopre di essere ancora capace di servire la vita, lì dove accade, con la sua domanda di gioia, spesso inespressa, ma sempre presente.