Chiesa
“La visita del Papa per il Libano in sé è un segno di speranza concreta. Come popolo libanese, abbiamo imparato da sempre, da bambini ad affrontare le difficoltà con determinazione, a proseguire il cammino anche quando le condizioni sembravano sfavorevoli, a mantenere lo sguardo rivolto verso l’orizzonte della speranza. Forse la nostra storia è segnata da crisi, guerre e instabilità ma allo stesso tempo da una forza interiore che ci ha sempre permesso di rialzarci, come la fenice”. Tina Hamalaya, libanese, è la segretaria del Consiglio dei giovani del Mediterraneo, voluto dalla Cei, dopo il Forum di vescovi del Mediterraneo del 2022. È composto da 34 ragazzi provenienti da 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. E da libanese ci tiene a ripercorrere, per il Sir, le varie tappe della storica visita di Papa Leone XIV in Libano e Turchia, che si è chiusa ieri a Beirut.
Il dono del tempo. Tina parte subito, e non poteva essere altrimenti, dall’incontro del Pontefice con i giovani svoltosi il 1° dicembre nel piazzale antistante il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti a Bkerké: “Abbiamo sentito il messaggio del Papa ai giovani che contiene spunti di riflessione e speranza, ‘avete il dono del tempo’, usatelo per sognare per costruire, per essere operatori di pace. Ha lasciato un messaggio profondo ai giovani che ha definito ‘non il domani, ma il presente’ del Paese. Non è stato solo un incoraggiamento ai giovani, ma in questo modo – aggiunge – credo che il Papa abbia riconosciuto il ruolo attivo delle nuove generazioni nella trasformazione del tessuto sociale, la loro fedeltà ai valori che reggono la convivenza, nonostante le difficoltà”.
Il cedro. Le parole di Leone XIV sono andate in profondità e hanno toccato il cuore di Tina e non solo: “Mi ha colpito anche l’immagine del Cedro quando ha detto: ‘Il Libano rifiorirà bello e vigoroso come il Cedro’, qui ha toccato l’identità, la nostra identità di libanesi; quindi, non poteva essere più concreto; perciò, sento anche la responsabilità personale e comunitaria per impegnarci ad essere ‘radici buone’ come il cedro, costruire relazioni, solidarietà e dialogo per una vera rinascita del Libano”. La giovane segretaria del Consiglio dei giovani del Mediterraneo non si nasconde le difficoltà: “Non è facile e non lo sarà – rimarca – come non lo è mai stato, ma credo sia il momento giusto per dire basta.
Basta ferite, basta dolore, basta guerre, basta ingiustizie.
Forse da questo incontro con Papa Leone possiamo iniziare l’appello alla giustizia, alla solidarietà, al dialogo, alla speranza, alla fraternità”.
Il Papa non si è rivolto solo ai giovani ma anche ai leader religiosi, ricorda Tina: “Durante l’incontro ecumenico e interreligioso a Beirut, ha lanciato un appello ‘Siate costruttori di pace’, perché, secondo me, anche i cosiddetti ‘potenti’ hanno una grandissima responsabilità e magari possono essere un esempio per tutti”. Papa Leone, dichiara Tina, “ha richiamato tutti, governanti, comunità religiose, giovani, società civile a usare un ‘linguaggio di speranza’, a ‘ricominciare sempre di nuovo’ a promuovere pace, riconciliazione e un futuro in comune”.
“Il Papa ha cercato di dare al Libano un orizzonte di speranza concreta e la certezza che la diversità religiosa e culturale è una ricchezza da salvaguardare”.
In un’epoca in cui la convivenza può sembrare un sogno lontano, voi, popolo del Libano, siete la prova che paura, sfiducia e pregiudizio non hanno per forza l’ultima parola. Unità, riconciliazione e pace restano possibili” sono le parole del Pontefice scandite da Tina.
Resilienza silenziosa. Cosa attendersi realisticamente da questa visita apostolica: “certamente – spiega la giovane – uno stimolo morale e psicologico soprattutto per i giovani e le comunità in difficoltà. Alcuni abbracci dati al Papa rispecchiano bene il bisogno di conforto e di vicinanza. Poi un richiamo a una responsabilità collettiva e non meno importante un ‘respiro’ anche economico e sociale”. Sulle ultime immagini di Papa Leone che lascia il paese dei Cedri, Tina saluta riferendo una piccola esperienza personale: “Mi dicono spesso, ‘ma siete un popolo che sorride sempre malgrado tutto’. È vero: spesso non sappiamo piangere — forse è un difetto, perché a volte lasciar uscire il dolore fa bene — ma è anche una forma di resilienza silenziosa che ci caratterizza.
Abbiamo imparato da piccoli a trasformare le ferite in energia per ricominciare, a cercare la speranza nella fede e nella preghiera anche quando tutto sembra fragile.
Per questo, ascoltare il Papa riconoscere sia le nostre difficoltà sia la nostra capacità di resistere mi ha toccato profondamente. Mi ha confermato che
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il Libano non è solo un Paese ferito, ma un popolo vivo,
con una generazione giovane che, come il cedro, può crescere solida e portare rami che danno ombra, sostegno e futuro” anche a tutto il Medio Oriente.