Viaggio tra i pellegrini e i turisti internazionali che in questi giorni varcano le porte della Basilica alla ricerca dell'incontro con Antonio, il santo delle cause perse la cui fama da secoli si diffonde nel mondo.Iscriviti al sito gratuitamente per leggere l'articolo.
Porta un mazzo di candidi gigli tra le braccia. Presta attenzione a non rovinarli, prima di deporli davanti all’arca che conserva le spoglie di uno dei santi più conosciuti al mondo: Antonio. Anche questa donna anziana, come i tanti pellegrini di questo caldo lunedì di giugno, entra silenziosa in Basilica sapendo bene dove dirigersi: il golfino bianco sulle spalle e la compostezza di chi raduna i pensieri e la concentrazione, prima di qualsiasi importante incontro con qualcuno di speciale.
Di fianco alle transenne che conducono dietro alla tomba del santo, c’è anche una coppia che toglie dall’imballaggio una cornice con una fotografia di un loro caro: è un ex voto che tra qualche istante lasceranno dentro alla Basilica, a memoria della grazia ricevuta.
Antonio è il santo di tutti, il santo dei miracoli, delle grazie ricevute, delle cose ritrovate, dei genitori che desiderano un figlio che non arriva, della salute riacquistata, del lavoro ottenuto. Forse, è proprio racchiusa qui la sua grande popolarità nel non fare differenze tra le richieste che con fede gli si innalzano. Passeggiando per le navate di questo immenso santuario, cuore pulsante di una fede internazionale che non conosce confini, sono infinite le voci che bisbigliano rispettose del luogo in cui sono. Stati Uniti, Brasile, Francia, Gran Bretagna, Germania, Indonesia e quest’anno anche qualche gruppo da Cina e Giappone. Tutti a visitare un luogo sacro e maestoso nella bellezza artistica custodita tra le pareti, le absidi, i soffitti.
Tod e sua moglie Charlene vengono dall’Ohio e conoscono Padova grazie alla sua «antica e illustre facoltà di medicina». Tod è un medico, laureato a Cleveland e, per la prima volta, visita la città, facendo tappa al Santo, condotto dalla fama di Antonio: la madre di Tod lo prega tutte le volte che perde qualcosa. E stupisce che i Si quaeris miracula insegnati qui dalle nostre nonne siano giunti fino all’altra parte del mondo.
Marco e Laura arrivano da Loreggia con la loro piccola Martina che corre giocosa lungo la navata che porta all’arca. «Veniamo al Santo alla fine di ogni visita medica di nostra figlia – spiega Laura – Siamo devoti di Antonio perché le nostre richieste di intercessione sono sempre state accolte. Anni fa ero a Padova per lavoro e, passando per la piazza, sono entrata in basilica a pregare: mi è venuto in mente di farlo per alcuni amici. Non è una cosa che di solito mi viene spontanea… Qualche giorno dopo il mio amico, cadendo da un’impalcatura molto alta, si è rialzato senza essersi fatto nulla. Prego sant’Antonio da allora per tante situazioni che mi stanno a cuore, non da ultima per la salute di nostra figlia. Noi chiediamo che lui preghi per noi, perché sappiamo che non è lui ad agire, ma Qualcuno di ben più grande». Un legame forte quello con il santo, ma non facile scontato per chi s’interroga sulla fede: «È sempre un po’ difficile credere – conclude Marco – Siamo qui ogni volta per ringraziare più che per ottenere qualcosa».
C’è chi arriva senza sapere che incontro spirituale, o anche solamente artistico, lo attende. Non è la fede a condurlo dentro la basilica, ma soltanto un suggerimento magari letto tra le pagine di una guida turistica. Nina, cinquant’anni ben portati, viene dalla Germania e vaga per la chiesa con gli occhi sgranati e il naso all’insù. «Sto girando per la città e voglio visitare ogni chiesa. Prima non avevo mai sentito parlare di sant’Antonio; la basilica è veramente maestosa. Mi lascia senza parole».
Gloria di Saccolongo frequenta il college in economia aziendale in Florida e ha portato per la prima volta con sé a Padova tre compagni americani: Alexia, Antony ed Ely. I tre ragazzi sono ammaliati da tanto splendore, non si capacitano che in Italia possano esistere chiese così grandi, pregne di storia e spiritualità. «È la prima volta che sentiamo parlare di Antonio e Gloria ci sta insegnando molte cose – racconta Alexia – Capisci subito che è un luogo importante anche se non avevo mai sentito parlare di questo santo». «Li ho portati qui perché è uno dei luoghi più belli che abbiamo. Ho spiegato loro che sono stati fortunati a essere a Padova proprio durante i tredici giorni che anticipano la festa». Gloria mostra ai tre amici l’importanza dei piccoli cuori d’argento che costellano la tomba: «Mio fratello ha subito in passato un grave incidente e anche la mia famiglia ha ringraziato in questo modo il Santo per la grazia ricevuta. Purtroppo e per fortuna, vivo negli Stati Uniti ma, tutte le volte che torno, visito il Santo perché mi fa sentire a casa. Antonio permea questo luogo e il sentimento di devozione nei suoi confronti si respira dentro a questa chiesa». «Sono rimasto colpito dalle reliquie – conclude Antony – Non mi aspettavo di vedere qualcosa del genere. Negli Stati Uniti non esistono testimonianze così antiche…».
Lorenzo e Filippo sono due studenti liceali padovani, sono entrati in chiesa per ripararsi dall’afa che fuori non lascia scampo, mentre tra queste spesse mura c’è un po’ di tregua. «Vengo al Santo da quando sono piccolo – racconta Lorenzo – È mia nonna che mi porta quando viene a messa. Ho frequentato il catechismo e ho fatto il chierichetto al Duomo; adesso che vivo nei paraggi preferisco venire qui a messa e a confessarmi perché mi sento più a mio agio: i frati sono miei amici e mi sento molto accolto da loro». Filippo, invece, non è mai entrato prima in basilica e, visto che l’ha appena studiata in storia dell’arte, ha un buon motivo per fare da Cicerone al suo amico. «È tutta un’altra cosa vederla dal vivo». Insieme i due ragazzi continuano il loro percorso dentro al santuario. Incrociando arte e fede, si aiutano a vicenda a capire meglio cosa Antonio rappresenti da secoli per la loro città e la fede di milioni di persone di oggi nel mondo.
