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Il 3 dicembre, Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità, è un’occasione per riflettere a 360 gradi sul cammino dell’inclusione e sulle sfide ancora aperte. In questa intervista Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi che accoglie persone con gravi e gravissime disabilità, sottolinea come questa ricorrenza debba diventare un momento di verità e confronto, capace di incidere realmente sul cambiamento culturale rendendo i diritti di queste persone una realtà.
Presidente Di Maolo, qual è, secondo lei, il significato più profondo della Giornata odierna e cosa rappresenta oggi per le persone con disabilità e per la società italiana?
Il 3 dicembre è un giorno di verità: un tempo in cui la società sceglie di guardarsi dentro, fare sintesi del percorso compiuto e ricalibrare la rotta. È un passaggio necessario per correggere ciò che non funziona e riaccendere lo sguardo verso gli obiettivi ancora da raggiungere. Così la ricorrenza smette di essere solo una giornata di sensibilizzazione e diventa occasione di confronto e ascolto collettivo.
Quali sono le barriere più difficili da abbattere in Italia: quelle fisiche, burocratiche o culturali?
Le barriere fisiche sono le più semplici da rimuovere, ma il vero salto di qualità sta nel formare le nuove generazioni alla progettazione universale: pensare ogni spazio come adatto a tutti. Le barriere burocratiche restano le più pesanti: procedure lente, enti che non dialogano, valutazioni che misurano solo il deficit. Le più difficili da abbattere, però, sono le barriere culturali:
È questo sguardo che genera pietismo, medicalizzazione e isolamento.
La riforma della disabilità 2024 segna il passaggio da un modello assistenzialista a uno basato sui diritti umani. Quali sono, secondo lei, le maggiori sfide?
La riforma segna un cambio di paradigma: dalla protezione e dal welfare gestito “per” la persona al riconoscimento della persona come soggetto di diritti, titolare del suo percorso di vita con libertà, dignità, autonomia. Ma realizzare questo cambio richiede di affrontare sfide organizzative, culturali, di risorse e di equità territoriale.
Il progetto di vita è una delle novità più rilevanti della riforma. In base alla sua esperienza al Serafico, come può trasformare la quotidianità delle persone con disabilità e delle loro famiglie?
Il progetto di vita supera la frammentazione degli interventi e dei servizi e guarda alla vita adulta e al futuro possibile della persona. Costruire un progetto di vita significa conoscere la sua storia, i suoi bisogni, desideri, priorità e capacità, ma anche ciò che può imparare e la motiva, per accompagnarla a vivere una vita piena.
Al Serafico il progetto di vita è diventato la bussola del nostro lavoro: i ragazzi non sono più spettatori, ma registi del proprio cammino insieme a che li accompagna.
Quanto potrà incidere l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità?
Il Garante può diventare un punto di riferimento nella difesa dei diritti, capace di fare pressione, creare cultura e correggere disuguaglianze. Non è una bacchetta magica, ma uno strumento che deve essere messo nelle condizioni di contare davvero.
Guardando al 2026, quando la riforma sarà implementata a livello nazionale, quali condizioni sono indispensabili perché funzioni?
Non si tratta semplicemente di aggiornare norme o procedure, ma di trasformare un sistema frammentato, assistenzialista e profondamente diseguale. Servirà una regia nazionale forte, capace di garantire uniformità ed evitare che i diritti continuino a dipendere dal luogo in cui si è nati. Ma le leggi da sole non bastano: occorrono persone formate e professionisti capaci di abbandonare il “si è sempre fatto così”. Da questo cambio di mentalità dipenderà il successo reale della riforma.
Qual è la sua visione di una società pienamente inclusiva e quali passi concreti dobbiamo ancora compiere?
Una società è davvero inclusiva quando riconosce il valore di ogni persona indipendentemente dalle sue condizioni. La partecipazione di tutti alla vita economica, sociale e civile del Paese non si realizza solo attraverso leggi e riforme. Le politiche governative non bastano, e a ciascuno di noi è richiesto di dimostrare nei fatti il valore della vita.
L’inclusione è una tessitura complessa che richiede di riannodare fili disgiunti, attraverso una ricucitura paziente di movimenti orizzontali e verticali.
Presidente, che messaggio vorrebbe lasciare alle famiglie e alle persone con disabilità in occasione di questa Giornata mondiale?
Vorrei dire loro una cosa semplice: non siete soli. La vostra determinazione, la vostra straordinaria capacità di amare, ma soprattutto la forza dei vostri figli – la loro autenticità senza filtri e il loro modo unico di stare nel mondo – sono oggi una delle vie più sicure per ricostruire un’umanità che si è smarrita.