Fatti
Emergono nuovi elementi preoccupanti sull’esposizione ai PFAS (composti poli e perfluoroalchilici) tra i Vigili del Fuoco italiani. Lo rivela Greenpeace Italia, che ha diffuso oggi – insieme al sindacato USB Vigili del Fuoco – i risultati di un’indagine indipendente condotta su 16 operatori provenienti dai comandi di Catania, Padova, Verona, Alessandria, Genova e Pisa. I dati sono stati presentati in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati.
Lo studio, riportato in un comunicato ufficiale dell’organizzazione ambientalista, evidenzia la presenza nel sangue dei Vigili del Fuoco non solo dei già noti PFOA e PFOS – sostanze riconosciute come cancerogene o sospette tali – ma anche dell’ADV, composto prodotto esclusivamente nello stabilimento ex Solvay (oggi Syensqo) di Alessandria. L’analisi è stata condotta tramite test sierologici presso l’Ospedale Universitario di Aquisgrana (Germania) e ha mostrato livelli che, pur non essendo elevatissimi, superano la soglia di rischio indicata dalla National Academy of Sciences statunitense.
«I dati che abbiamo raccolto indicano chiaramente che esiste un problema PFAS per il settore dei Vigili del fuoco, una questione che non può più essere ignorata», ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Il problema, però, non si limita agli esami del sangue. Anche i dispositivi di protezione individuale in uso ai Vigili del Fuoco italiani mostrano una significativa presenza di PFAS e di Fluoro Organico, parametro che stima la quantità complessiva di queste sostanze (oltre 10.000 molecole diverse) non misurabili singolarmente.
Come sottolineato durante l’incontro – al quale sono intervenute anche la dottoressa Vitalia Murgia, di ISDE Medici per l’Ambiente, e la professoressa Claudia Marcolungo dell’Università di Padova – l’esposizione professionale dei Vigili del Fuoco era già stata classificata nel 2023 come cancerogena per l’essere umano dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), organo dell’OMS.
Greenpeace e USB denunciano una “doppia vulnerabilità”: i Vigili del Fuoco sarebbero infatti esposti sia come cittadini, attraverso l’ambiente e i prodotti di consumo, sia come lavoratori, tramite le schiume antincendio e le divise operative.
Per questo motivo, il coordinamento nazionale USB Vigili del Fuoco chiede con urgenza una serie di misure: dalla mappatura dei siti contaminati alla sorveglianza sanitaria degli operatori, fino a un piano di transizione verso materiali e dispositivi PFAS-free. Il sindacato sollecita inoltre il riconoscimento della categoria come “esposta” ai fini INAIL.
«Non è possibile mettere in pericolo la vita di chi già rischia molto per tutelare la collettività», ha concluso Ungherese. «Chiediamo che il governo intervenga mettendo in sicurezza il corpo italiano dei Vigili del Fuoco, nonché vietando l’uso e la produzione di PFAS su tutto il territorio nazionale».