Fatti
Pfas, contaminata quasi l’80 per cento dell’acqua italiana
Su 235 città Lo certifica un rapporto di Greenpeace. Il 7 e 8 febbraio, a Vicenza, riprende il processo alla ex Miteni. Presidio delle Mamme no Pfas
FattiSu 235 città Lo certifica un rapporto di Greenpeace. Il 7 e 8 febbraio, a Vicenza, riprende il processo alla ex Miteni. Presidio delle Mamme no Pfas
Il 7 e 8 febbraio riprende il processo alla ex Miteni di Trissino a Vicenza, protagonista di uno dei più grandi crimini ambientali della storia del Veneto, e il Comitato Mamme no Pfas sarà davanti al tribunale con un presidio di due giorni per chiedere giustizia. Con loro anche i rappresentanti di tante associazioni, cittadini, amministratori e l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Vicenza. La loro voce è arrivata al Parlamento italiano e al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Parlamento europeo, alla Cei e a papa Francesco all’Arena di Pace, a Verona, lo scorso anno. «Ora vogliamo vedere i fatti – spiega Michela Piccoli a nome di tutte le mamme del Comitato – soprattutto chiediamo che il Governo italiano faccia quello che tanti altri Stati europei hanno già messo in atto, ovvero una richiesta all’Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche, ndr) di regolamentare il Reach, il registro che norma il settore, creando un divieto o una restrizione a riguardo dei Pfas». Nel febbraio del 2023, con The forever pollution project, un gruppo internazionale di 48 giornalisti ha condotto uno studio investigativo stilando una mappa della concentrazione dei Pfas in Europa, stimando una possibile decontaminazione in termini di migliaia di miliardi di euro. “Sono costi enormi, pertanto le lobby della chimica stanno spingendo l’Unione Europea a non farsi carico di questo problema – rivela Michela Piccoli – Siamo andate più volte alla Camera dei deputati, ma a oggi in Italia non si è vista alcuna azione. Con la nuova direttiva europea sulle acque potabili, la 2020/2184, saranno tollerati 100 nanogrammi di Pfas per litro, un dato ancora altissimo se si pensa che gli Stati Uniti hanno una soglia di sicurezza pari a solo 4 per litro». Nell’area colpita dal caso della Miteni i parametri sono molto più alti purtroppo, si tratta di una zona tra le province di Vicenza, Verona e Padova, con i picchi di concentrazione più alti in Comuni più a sud di Trissino, come Brendola, Sarego e Lonigo. Questo perché la Miteni, un’azienda che dava lavoro a non più di un centinaio di operai, è riuscita a inquinare una delle più grandi falde potabili d’Europa entrando nelle case della gente attraverso i rubinetti. I Pfas sono nel sangue di oltre 350 mila persone che si ritrovano a fare i conti con seri problemi di salute. Secondo la Nasem, l’accademia americana per le scienze, l’ingegneria e la medicina, i soggetti più esposti ai danni dei Pfas sono i bambini, colpiti sin dal periodo fetale. Possono causare problemi al sistema immunitario ed endocrino, alterazioni ormonali ed effetti cancerogeni al rene, alla mammella e al testicolo. A fine gennaio, Greenpeace ha presentato la prima mappa della contaminazione da Pfas delle acque potabili italiane. Ebbene gli “inquinanti eterni” sono presenti nel 79 per cento dei 260 campioni di acqua potabile raccolti in 235 città: il Comune di Castellazzo Bormida (Alessandria) ha mostrato i valori più elevati con 539,4 nanogrammi per litro, seguito da Ferrara con 375,5 nanogrammi per litro. «I Pfas sono difficili da smaltire e nemmeno un inceneritore riesce ad arrivare alla temperatura necessaria per distruggerli (oltre i mille gradi) – aggiunge Michela Piccoli – L’unica soluzione sarebbe quella di bandirli, come ha fatto la Norvegia. Se pensiamo che un cucchiaino contamina una piscina olimpionica, e che un chilo di queste sostanze costa 19 euro ma ce ne vogliono 18 mila per smaltirlo, ci viene naturale chiederci se vale la pena. Alcune ditte lo hanno capito rinunciando al Goretex o al Teflon. Chi non lo capisce è l’industria delle lobby della chimica ma ci affidiamo ai giudici, sperando che a Vicenza ci possa essere una sentenza esemplare».
Come è emerso dagli atti processuali, i vertici della Miteni tutto questo lo sapevano. Ora lo stabilimento è chiuso, dopo aver dichiarato il fallimento nel 2018. Si è dovuto costruire un acquedotto nuovo per 22 chilometri, inoltre la ex Miteni ha dovuto realizzare una barriera con palancolato, lungo il torrente Poscola, per una lunghezza di 580 metri e le acque vengono trattate con filtri a carbone. Non basta per attuare una vera bonifica: dovrebbero essere rimossi i terreni contaminati nell’area di 700 metri quadri.
Michela Temporin