Fatti
Dopo quattro anni, 133 udienze, 120 testimonianze e oltre 300 parti civili, si è concluso con una sentenza storica alle 16.20 di giovedì 26 giugno al tribunale di Vicenza il processo di primo grado per la più grande contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) che si sia registrata fino a oggi. Numerose e pesanti le condanne per 11 dei 15 manager e dipendenti dell’azienda chimica Miteni di Trissino, nel Vicentino: le fattispecie di reato di cui sono responsabili a vario titolo sono l’avvelenamento delle acque, il disastro innominato, l’inquinamento ambientale e la bancarotta per falso in bilancio. A fare di questa sentenza una pietra miliare del diritto ambientale è la natura dolosa dei primi due reati: chi ha inquinato lo faceva essendo cosciente dei danni che avrebbe potuto procurare a persone e cose. A carico dei condannati – tra cui figurano giapponesi e tedeschi in forze alle multinazionali Mitsubishi e Icig, controllanti di Miteni – la Corte d’assise presieduta dal giudice Antonella Crea ha spiccato in totale 141 anni di reclusione (quattro gli assolti) a fronte di 121 anni e sei mesi e sei assoluzioni chiesti della procura berica.
A dodici anni dallo studio condotto dal dott. Stefano Polesello per Cnr-Irsa, che dimostrava la presenza di questi temibili contaminanti in molti bacini fluviali italiani, ma in misura fuori scala nel Veneto centrale, si giunge così a un punto fermo giudiziario, atteso da tutti i 300 mila veneti toccati dalla contaminazione nelle provincie di Vicenza, Verona e Padova, che ogni giorno convivono con queste molecole indistruttibili, utilizzate in svariati campi (dalla medicina al tessile, passando per materiali per la cucina o lo spegnimento di incendi) che più ricerche scientifiche hanno correlato a patologie come il cancro del rene e del testicolo, malattie cardiovascolari, ma anche preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita. Dal sito della fabbrica (nata negli anni Sessanta come Rimar-Ricerche Marzotto), gli inquinanti hanno contaminato la seconda falda acquifera d’Europa per capacità per poi raggiungere l’organismo umano e animale. Alla lettura della sentenza, in aula commozione, gioia e applausi hanno sottolineato quanto questa pronuncia fosse attesa, dopo che da oltre un decennio la contaminazione da Pfas ha sconvolto la vita di decine di migliaia di famiglie e istituzioni delle province di Vicenza, Padova e Verona. Maria Chiara Rodeghiero di Medicina democratica è colei che ha depositato l’esposto in procura da cui il processo è partito: «L’etica e la morale non devono mai essere abbandonate da nessun cittadino e tanto meno da un imprenditore – ha detto in lacrime – È necessario imparare a fare imprenditoria sana, senza minare nel silenzio la salute dei cittadini. Oggi abbiamo sperimentato una giustizia “giusta”». Alberto Peruffo, attivista della prima ora, ha sottolineato come «questa sentenza storica dimostra che le multinazionali possono essere fermate quando sono criminali. Ma adesso dobbiamo rivolgere l’attenzione a chi ha permesso tutto questo».
La pena massima tocca a Brian Anthony Mc Glinn (17 anni e sei mesi), la minima a Davide Drusian (2 anni e otto mesi e 15 mila reo di multa), 17 anni di reclusione attendono anche Patrick Schnitzer, Achim Rieman e Luigi Guarracino; 16 anni di carcere attendono Naoyuki Kimura, Yuji Suetsune e Alexander Smit, 11 anni a Maki Hosoda, 6 anni e 4 mesi all’ultimo amministratore delegato di Miteni Antonio Nardone e 4 anni e sei mesi a Martin Leitgeb. Delle 338 parti civili oltre 200 sono Mamme no Pfas o cittadini che dal 2017 hanno scoperto i Pfas nel loro sangue e in quello dei loro figli: per ognuno di loro la corte ha stabilito un risarcimento di 15 mila euro, 80 mila euro vanno ai Comuni. Al Ministero dell’ambiente 56,8 milioni di euro, alla Regione Veneto 6,5 milioni.
«La sentenza della Corte d’assise di Vicenza, che riconosce il reato di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque e prescrive condanne tra gli 11 e i 17 anni ai vertici della Miteni, è un passaggio fondamentale di giustizia per le comunità venete colpite e per tutti coloro che hanno lavorato con impegno alla ricerca della verità – ha affermato il presidente veneto Luca Zaia – Fu proprio la Regione del Veneto, su mio mandato, nel 2013, a segnalare per prima alla magistratura, tramite Arpav, gli effetti gravissimi e irreversibili dell’inquinamento da Pfas, scoperto nell’ambito di una ricerca sperimentale del Cnr e del Ministero dell’ambiente su inquinanti emergenti nei principali bacini fluviali italiani. Abbiamo investito risorse regionali, ottenuto lo stato di emergenza nel 2018, e sostenuto in sede giudiziaria una tra le più ampie documentazioni tecnico-scientifiche».