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Piange la montagna. La tragedia della Marmolada scuote l’animo di tutti
La tragedia della Marmolada scuote l’animo di tutti. Per le vittime e i loro cari, ma anche per il segno tangibile degli effetti del cambiamento climatico
IdeeLa tragedia della Marmolada scuote l’animo di tutti. Per le vittime e i loro cari, ma anche per il segno tangibile degli effetti del cambiamento climatico
«Quello che è successo è una fatalità, ma quello che succede giorno dopo giorno a livello climatico e ambientale è nostra responsabilità. Anche per rispetto alle vittime è il tempo di agire in maniera seria». Jacopo Gabrieli, bellunese, è ricercatore dell’Istituto di Scienze polari del Cnr, con sede a Venezia, e da anni si occupa dello studio di archivi climatici in carote di ghiaccio attraverso l’implementazione di tecniche analitiche innovative. In queste ore ha raggiunto il luogo della tragedia, è sul posto, osserva la montagna e spiega: «I seracchi, come conformazione naturale, crollano in maniera continua. Il punto è che questi avvenimenti, ancorché naturali, sono sempre più frequenti, ma proprio come quantità di massa che si sposta. Usciamo da due mesi davvero torridi, nella zona della Marmolada si registrano due-tre gradi superiori alla media: a giugno abbiamo avuto temperature che solitamente si trovano ad agosto. E certamente i cambiamenti climatici influenzano l’instabilità dei seracchi, di sua natura già instabile». L’Arpav, l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, nel documento rilasciato qualche ora dopo il crollo avvenuto intorno alle 13.45 di domenica 3 luglio, parla esplicitamente di un «periodo che risulta essere anche più caldo rispetto all’anno 2003, da tutti considerato un anno record per le temperature estive». Ed effettivamente, il drammatico crollo del seracco del gruppo montuoso più alto delle Dolomiti, costato la vita a sette persone (numero destinato, tristemente a salire) riporta l’attenzione sugli effetti del riscaldamento globale: da un’analisi dei dati meteoclimatici della stazione automatica di punta Rocca dell’Arpav, risulta infatti che nei mesi di maggio e giugno, le temperature medie giornaliere sono risultate di gran lunga superiori alla media storica, con uno scarto di più 3,2°C nei due mesi. Le due decadi più calde rispetto alle medie sono state la seconda decade di maggio (più 4,8°C rispetto alla media) e la seconda decade di giugno (più 5,4°C rispetto alla media). Se si prendono poi in considerazione i valori massimi giornalieri, per ben sette volte si sono superati i 10° C, con una punta massima di più 13,1°C il giorno 20 giugno. «La natura si organizza e si difende – è la consapevolezza di Renato Frigo, presidente del Cai Veneto, sezione regionale del Club alpino italiano – Vediamo la sofferenza delle piante che prima potevano vivere a mille metri e ora si sono portate a 1.200 metri, stanno salendo di quota. L’erba nei pascoli più bassi con questa mancanza di acqua comincia a scarseggiare e di conseguenza gli animali si portano più in alto. La nostra riserva di acqua delle Dolomiti è data dalla presenza della neve, perché la roccia di bicarbonato qui non ha capacità di trattenere l’acqua. La nostra riserva è la neve, quindi bisogna pensare, bisogna ripensare a tutto questo. Noi spostiamo sempre più in là il problema, come se non fosse nostro, fatto salvo nei momenti in cui succedono disgrazie o, come in queste settimane di siccità, ci dicono di chiudere i rubinetti delle nostre abitazioni, di razionalizzare, di non lavare la macchina o innaffiare il giardino».
Nel settembre 2021, l’Università di Padova, dopo una serie di misurazioni annuali di geografi e glaciologi, aveva confermato la riduzione continua della superficie e del volume del ghiacciaio della Marmolada, nonostante la candida apparenza dovuta a nevicate tardoestive e un’annata tra le più nevose degli ultimi trent’anni. Per gli effetti del cambiamento climatico il ghiacciaio si è ridotto del 30 per cento in termini di volume solo tra il 2004 e il 2014. Un processo, verrebbe da dire inesorabile entro cui inquadrare la fatalità dell’evento della prima domenica di luglio. L’Arpav, infatti, sottolinea che «da un punto di vista glaciologico, crolli di questo tipo risentono in maniera solo parziale delle temperature registrate a livello giornaliero, poiché l’inerzia dei ghiacciai ai cambi di temperature e le risposte in termini di fenomeni di questo tipo, necessitano di tempi lunghi e di persistenza di condizioni sfavorevoli, condizioni che si stanno verificando ormai da anni». Si stima che il progressivo aumento della temperatura media globale porterà alla scomparsa di tutti quei ghiacciai alpini che si trovano al di sotto dei 3.600 metri di altitudine entro la fine del secolo. La Marmolada, la cui cima più alta misura 3.343 metri, rientra in questa categoria. Nel 2013 il ghiacciaio si estendeva per 1,9 chilometri quadrati, nel 2020 solo per 1,5: circa un quarto rispetto all’inizio del Novecento. Del resto i ghiacciai, come puntualizza Jacopo Gabrieli, sono sentinelle del cambiamento climatico e in questo turbinio l’uomo c’è dentro con tutti i due piedi, complice e vittima. L’adattamento sarà necessario nei prossimi decenni, non solo durante le escursioni, ma proprio nei gesti quotidiani, servono azioni mitigatrici, una su tutte: ridurre i gas serra. «Per me tutto questo è impressionante, davvero impressionante – è l’osservazione sconfortata di Renato Frigo – Lo zero termico è ora a 4.800 metri: i nostri ghiacciai si spegneranno, scompariranno nel giro di 30 anni. E pensare che alcune previsioni parlavano del 2100: con l’andamento attuale bisogna aggiornare drammaticamente la data. Va a finire che la mia generazione vedrà tutto finire, inesorabilmente. La mia, non quella dei miei figli».

Domenica 3 luglio è crollata una porzione di ghiacciaio sulla Marmolada in corrispondenza della via normale di salita. L’area di distacco è di circa 90 metri di lunghezza, per un’altezza massima di 40 metri, per un volume complessivo di materiale crollato stimato in circa 300 mila metri cubi, che hanno percorso un dislivello di circa 700 metri (da quota 3.200 a quota 2.500).
La frana ha travolto con estrema violenza gli escursionisti, il che rende difficili e complesse le ricerche e anche il riconoscimento. Dei sette corpi ritrovati, solo tre sono stati identificati: Filippo Bari, 27 anni, residente a Malo e originario di Isola Vicentina, lavorava in una ferramenta ed era padre di un bimbo di quattro anni. Paolo Dani, 52 anni, guida alpina di Valdagno, dal 2012 al 2020, aveva guidato il soccorso alpino di Recoaro-Valdagno e, dal 2003, era tecnico di elisoccorso nella base di Verona. Lascia la moglie e una figlia di 14 anni. Tommaso Carollo, manager di 48 anni di Thiene, anche lui amante della montagna e sulla Marmolada si trovata assieme alla compagna che si è salvata. Stando alle dichiarazioni del legale di famiglia Massimo Simonini, ufficialmente risultano, invece, dispersi Davide Miotti di 51 anni, originario di Cittadella, titolare di un negozio di alpinismo a Tezze sul Brenta, e sua moglie Erica Campagnaro.