Kuba è un giovane ragazzo polacco nato a Danzica nel 2005, qualche mese dopo la morte di San Giovanni Paolo II. Nulla di strano quindi che per lui la figura del “grande polacco”, come spesso Karol Wojtyla viene chiamato nel proprio Paese, appartenga ormai alla storia.
Un giovane diciottenne, che ha appena superato l’esame di maturità e si appresta a frequentare l’Università di Danzica con indirizzo “Gestione aziendale”. Si definisce cristiano e sottolinea con forza l’importanza del cattolicesimo e della tradizione cristiana nella vita di tutti i giorni.
Non ha partecipato al Giubileo dei giovani che tra la fine di luglio e i primi di agosto ha portato a Roma oltre 20mila giovani polacchi. Conosce però la Città Eterna, seppur per qualche giorno, per aver accompagnato suo zio, un noto giornalista polacco. E com’era prevedibile, una mattina, di buonora, i due si sono recati nella basilica vaticana per assistere alla liturgia celebrata ogni settimana in memoria del Pontefice polacco, nella cappella di S. Sebastiano che custodisce la sua tomba.
Li incontriamo e qualche ora più tardi chiedo ad entrambi se è vero che tanti giovani polacchi, certo non con devozioni, scambino tra loro sui social immagini e battute sul trapasso del santo papa Giovanni Paolo II. Nessuno dei due nega la cosa e rispondere non è facile. Dopo una pausa di costernazione, i due fanno notare che molto probabilmente sono le stesse persone che dei social non fanno certamente un uso virtuoso. Allo stesso tempo, però,
Kuba sottolinea la presenza on line di molti sacerdoti che con centinaia di migliaia di follower portano avanti un’opera di evangelizzazione escogitando modi sempre nuovi di annunciare ai giovani la buona novella.
Kuba, ricorda poi che nonostante il Giubileo dei giovani a Roma, in Polonia durante tutta l’estate si sono svolti incontri e manifestazioni di matrice religiosa che hanno coinvolto centinaia di migliaia di giovani. Raduni nel corso dei quali c’è stato posto sia per la musica che il rap ma anche per momenti di autentica evangelizzazione con catechesi e adorazione del Santissimo. Liturgie adeguate e profonde riflessioni spesso ispirate da discorsi pronunciati sul palco da noti evangelizzatori.
La storia di Kuba è simile a quella di molti altri suoi coetanei. Alle elementari ha seguito il regolare corso di catechesi, due volte alla settimana, impartita da una insegnante laica. “Ricordo con piacere quelle ore di lezione – racconta Kuba – perché permettevano di rilassarsi durante la lunga giornata di scuola tra una pesante lezione di matematica e un’altra di storia. Era necessario avere il libro delle catechesi e studiare, ma il voto positivo era quasi scontato”. Dopo le elementari Kuba ha frequentato la scuola quinquennale per tecnici veterinari scegliendo di rinunciare alle lezioni di catechesi “perché c’erano molte altre cose da fare”, spiega, pur sostenendo la validità del percorso di catechesi come tale.
Incalzato sulle forti tradizioni cristiane del popolo polacco, Kuba ne riconosce l’importanza e dichiara di rispettarle volentieri. Gli piace particolarmente l’atmosfera del Natale, il presepe e l’albero addobbato che irradia del suo profumo tutta la casa. Profonde e belle anche quelle della festività di Pasqua.
Ricorda quando piccolo, durante l’inverno, si alzava prima dell’alba per seguire le tradizionali liturgie mattutine dell’Avvento (in polacco chiamate Roraty) durante le quali i fedeli con particolare devozione si rivolgono alla Vergine Maria. Ancora oggi, poi, nel periodo di Pasqua, Kuba partecipa alla messa del giorno, spesso insieme ai nonni che abitano in un piccolo centro vicino a Danzica dove qualche volta si celebra la messa in lingua casciuba, dal 2005 riconosciuta in Polonia come lingua regionale.
“Anche oggi – racconta – quando vado dai nonni di domenica, cerco di accompagnare loro in chiesa proprio per sentire la messa in casciubo”. Oltre al rispetto per le tradizioni religiose, Kuba sente forte anche l’esigenza di partecipare alla Festa dell’Indipendenza dell’11 novembre che celebra la fine dei combattimenti della prima Guerra mondiale e ricorda la creazione di uno Stato indipendente polacco.
Ma il rapporto tra giovani e religione sembra essere cambiato e al momento appare piuttosto complesso e articolato. Secondo uno Studio elaborato dall’Agenzia Kai, nel 2024, sulla Chiesa in Polonia, solo il 73% dei giovani tra i 18 e i 24 anni dichiarano di credere in Dio. “Quanto più giovani sono – si legge nel rapporto -, tanto più spesso rinunciano alle pratiche religiose”, osservano gli autori della relazione denunciando sempre più casi di abbandono della religione tra coloro che hanno meno di 18 anni. Il Rapporto sottolinea inoltre che tra gruppi di diplomati, già dal 2021, il 44,5% non si identificava con la religione cattolica e che il calo di giovani credenti nell’arco dei cinque anni a seguire è stato particolarmente drastico, anche a causa della pandemia da Sars-Covid-19. Tuttavia, evidenziano gli autori dell’analisi, il forte radicamento della religiosità nella tradizione popolare polacca può costituire una grande opportunità pastorale:
“Nonostante la fine della religiosità sia stata annunciata più volte nel passato, la crescente complessità della realtà fa sì che è sempre la fede a dare le risposte alle domande fondamentali”.