Il papa anche nella sua Esortazione Amoris laetitia mira anzitutto a modificare una visione negativa di Dio, che si è insediata nella mente e nel cuore di tanti cattolici. Da qui si può avviare un processo di confronto e riflessione, per un ripensamento della morale familiare.Per leggere il servizio iscriviti gratuitamente al sito.
Nella sua recente esortazione post sinodale sulla famiglia papa Francesco precisa e chiarisce subito, per evitare equivoci, che egli non intende in alcun modo modificare la dottrina morale della chiesa, ma riportarla all’interno di un contesto pastorale. Tutta l’esortazione, in effetti, si ispira a una “logica della misericordia pastorale” che mira a integrare nella vita della chiesa quanti vivono in una situazione irregolare: conviventi, divorziati risposati, omosessuali, ecc.
Tutti devono essere integrati, raccomanda il papa, non esclusi. Ma questo che significa? I cosiddetti irregolari non sono già integrati nella chiesa? Nessuno li ha esclusi. Vengono esclusi dalla chiesa soltanto eretici, scismatici e scomunicati. Il problema è un altro: verificare se “in certi casi” chi vive in una situazione irregolare possa o meno essere ammesso ai sacramenti o svolgere un ministero ecclesiale: leggere in chiesa, diventare ministro straordinario dell’eucaristia, fare il catechista, il padrino, la madrina, ecc.
Papa Francesco non risponde a queste domande, non intende offrire, come egli stesso scrive, delle ricette. E infatti si cercherebbe invano nella sua lunga esortazione (300 pagine, 9 capitoli, 325 numeri, 392 note) una risposta a queste domande e in particolare alla domanda se i divorziati risposati possono accostarsi alla comunione.
In ogni caso a me sembra che tre siano le parole-chiave dell’esortazione. La prima rimanda al progetto di Dio sulla famiglia. «Dio stesso – scrive il papa – ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi l’impoverimento di un valore (…) Pertanto in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come un dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che ammira la dignità dell’altro, diventa una piena e limpidissima affermazione d’amore che ci mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento si percepisce che l’esistenza umana è stata un successo». Purtroppo nella vita a volte gli insuccessi, i fallimenti, non mancano. E allora che fare? Per trovare una risposta nell’esortazione del papa è forse utile tener maggiormente presente e valorizzare la differenza che c’è sempre tra ideale e realtà, tra principi e applicazione dei principi. Il principio ci rammenta l’ideale, l’applicazione del principio tiene invece conto della realtà. Ciò che a mio parere manca alla dottrina morale della chiesa è una valorizzazione più adeguata del cosiddetto principio di possibilità.È vero che tutti sono chiamati a tendere verso l’ideale, a realizzare il progetto di Dio, non tutti però ci riescono, per diversi motivi. Alcuni soggettivi, imputabili cioè al soggetto, alla sua libertà: di qui la realtà della colpa, del peccato; altri oggettivi, non imputabili al soggetto: di qui una realtà diversa, di debolezza, di fragilità, a volte di vera e propria impotenza. È in questo senso che il papa parla di “irregolarità”.
Una seconda parola-chiave dell’esortazione rimanda al discernimento, che può essere sia personale che pastorale. Come discernere una situazione dall’altra? Una situazione di colpa, di peccato, da una situazione cosiddetta “irregolare”? E chi è chiamato a fare questo discernimento? La persona, il confessore, un delegato del vescovo? E in base a quali criteri? A ogni modo «non è più possibile dire – scrive il papa – che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. (…) È possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, amare, e anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della chiesa». (In nota il papa precisa che tale aiuto “in certi casi” potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti. «Ai sacerdoti – scrive poi – ricordo che il confessionale non deve essere una sala di tortura, bensì il luogo della misericordia del Signore. Ugualmente segnalo che l’eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e alimento per i deboli»). Al riguardo, e cioè in riferimento alle cosiddette situazioni “irregolari”, sarebbe stato forse preferibile, e senz’altro più chiaro, parlare non di “situazione oggettiva di peccato”, bensì di situazione oggettiva di “conflitto” tra valori più o meno alti, più o meno fondamentali, più o meno urgenti. E ciò per evitare una possibile contraddizione, o quanto meno un fraintendimento, e cioè che si pensi di poter essere al tempo stesso e dallo stesso punto di vista in stato di peccato e in stato di grazia.
La terza e ultima parola-chiave dell’esortazione rimanda all’educazione religiosa, ma soprattutto morale. «L’educazione morale – spiega il papa – è un coltivare la libertà mediante proposte, motivazioni, applicazioni pratiche, stimoli, premi, esempi, modelli, simboli, riflessioni, esortazioni, revisioni del modo di agire e dialoghi che aiutino le persone a sviluppare quei principi interiori stabili che possono muovere a compiere spontaneamente il bene». Anche qui un breve commento per ricordare che questo tipo di discorso, biblicamente chiamato “parenesi”, esortazione, è anzitutto un discorso interiore che appartiene alla persona, alla sua coscienza, la quale già dentro di sé avverte il richiamo a fare il bene ed evitare il male. Ma è un discorso che può essere fatto anche da altri. In tal caso chi fa parenesi deve sottostare a due regole precise. La prima consiste nel sapere già cosa si debba fare o evitare: se l’altro è ancora alla ricerca di ciò che è moralmente giusto fare nella situazione in cui si trova, esortarlo a fare il bene non ha alcun senso. La seconda regola rimanda all’esemplarità di chi fa parenesi: se nella propria vita non si realizza ciò verso cui si esorta l’altro uno si sentirà ribattere: medico, prima cura te stesso. E ciò vale per i singoli educatori, ma anche per la chiesa.
Che dire in conclusione? A me pare che papa Francesco in questa sua esortazione apostolica, come in altri interventi magisteriali, miri anzitutto a modificare un’idea, un’immagine, una visione prevalentemente negativa di Dio, che si è profondamente insediata nella mente e nel cuore di tanti cattolici. E si proponga, in secondo luogo, di avviare più che di concludere un processo di dialogo, di confronto, di riflessione, che modificando l’attuale prassi pastorale stimoli un ripensamento globale della morale familiare cattolica, senza con ciò indebolire o compromettere l’unità della chiesa.
