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Rubriche | I Blog/L'arcobaleno dei sentimenti - Monica Cornali

domenica 24 Novembre 2019

Quali motivi ho per essere grato? Li scrivo in un diario…

Vivere la gratitudine è una capacità, da allenare, che indica il livello di maturità globale della persona

Monica Cornali

La capacità di vivere la gratitudine indica il livello di maturità globale della persona, nei suoi aspetti psico-affettivi, sociali e spirituali. Si tratta di un cammino impegnativo, volto a valorizzare gli aspetti positivi della vita, ad allenare l’attenzione affinché diventi capace di stupore dinanzi alla gratuità e alla misteriosità del dono che giunge dagli altri e dall’Altro.

Un’attitudine essenzialmente interpersonale come la gratitudine è impossibile nelle tappe iniziali della vita, quando i confini tra il bambino e il suo mondo sono così sfumati da non permettere una vera relazione di alterità. Il narcisismo iniziale, spesso, continua nell’età adulta. È il caso che mi racconta una giovane donna, amareggiata perché l’uomo che ha sposato dà tutto per scontato, che lei ci sia, che provveda alla casa, ai figli, e guai se si permette di essere qualche volta stanca. Nella sua presunta onnipotenza, egli non si rende mai conto di aver ricevuto qualche cosa da un altro gratuitamente: a lui tutto è dovuto.

Superata la fase narcisista, la gratitudine nasce per facilitare la relazione di intimità: se non sono onnipotente e se la mia capacità di crescere dipende da altri, si apre davanti a me l’orizzonte meraviglioso di poter ricevere e dare aiuto, e anche di essere circondato dalla ricchezza inattesa di quanti agiscono verso di me in modo altruista, senza condizionarmi con la loro generosità. La gratitudine non è possibile finché non siamo capaci di accettare consapevolmente che abbiamo bisogno di altri, che la vita è dare e ricevere, che è necessario sopportare la delusione dei propri limiti, per poter godere di un mondo immenso di possibilità che si estende al di là di noi. La reazione autenticamente riconoscente avviene quando sappiamo che l’altro è veramente coinvolto nel suo dono, e quando ci è possibile rispondere secondo le nostre possibilità, senza che ci venga imposta nessuna obbligazione speciale.

Chi è questo «altro»? E che cosa comporta la sua generosità per me? Quando parliamo della nostra riconoscenza a Dio come al grande Altro, datore di ogni bene, dobbiamo chiederci quale profilo gli attribuiamo: come intendiamo la sua onnipotenza e insieme la sua vicinanza? Come concepiamo la misteriosa e gratuita relazione che egli ha con l’uomo? La psicologia positiva suggerisce di fissare l’attenzione sui motivi che ciascuno ha per essere grato: agli altri, alla vita, a Dio. Questo significa riconoscere che la storia personale è fatta, anche e soprattutto, di apporti benevoli di carattere tanto fondamentali per la nostra personalità, quanto lo sono i traumi iniziali. Il cammino verso questa maturazione non è facile. Una modalità semplice e alla portata di tutti per allenare l’attenzione a vedere il bene, consiste nello scrivere un “diario quotidiano di gratitudine”, che ci aiuti ad attivare la memoria del cuore. Il carattere relazionale della gratitudine esige di essere attivamente presenti a coloro senza dei quali non sarebbero possibili diversi aspetti della nostra esistenza. La necessità di mantenere la memoria del cuore è forse uno dei motivi psicologici per cui in molte religioni esistono litanie di ringraziamento. 

Si narra che santa Chiara, sul letto di morte, rendesse grazie a Dio per averla creata. Di san Francesco sappiamo che riuscì ad amare anche la morte, chiamandola «sorella». La gratitudine dei santi ha raggiunto un vertice tale di maturità che persino la morte è stata vista come un dono. È in effetti quanto sostiene anche Benedetto XVI (Spe Salvi, 10) e quanto afferma il biblista Bruno Maggi, che ne parla in termini di «ultima beatitudine» (L’ultima beatitudine, Garzanti, 2017).

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