Fatti
“Se si continua a dire semplicemente che servono soldi in più ma non si parla mai delle riforme necessarie a rendere il sistema ‘sostenibile’ anche in un prossimo futuro allora il dibattito sarà sempre infruttuoso”. Così Gilberto Turati, professore ordinario di Scienza delle Finanze all’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove coordina la laurea magistrale in Healthcare Management e tiene seminari nell’ambito dei programmi di formazione dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari (Altems), riflette sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, sull’adeguatezza delle risorse destinate e su quali aspetti è urgente affrontare per preservare un sistema capace di garantire ancora universalità, uguaglianza ed equità.
Professore, ciclicamente si torna a dibattere sull’adeguatezza o meno delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, soprattutto nell’ambito della sessione di bilancio. La sanità italiana soffre di sottofinanziamento o sono altri i problemi più urgenti e rilevanti da affrontare?
Credo che la questione centrale sia cosa si ha idea di fare con quello che viene chiesto in più come finanziamento. Le risorse dovrebbero essere indirizzate per garantire a tutti, visto che il nostro sistema è di stampo universalistico, i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Fino ad ora si è sempre proceduto definendo le risorse che mettiamo a disposizione del sistema e non partendo da una ricostruzione bottom-up di quante sono le risorse che effettivamente servirebbero per finanziare i Lea. L’approccio top-down ha sempre garantito in qualche maniera la compatibilità macroeconomica delle risorse che mettiamo a disposizione del Ssn; se si partisse dalla prospettiva dal basso, il rischio sarebbe scoprire che servono più soldi di quelli attualmente stanziati. Questo è uno dei fronti aperti nel dibattito sui Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Ma
la discussione sulle risorse finanziarie necessarie, lo vado dicendo da anni, deve essere accompagnata da quella sul loro impiego. Perché spendiamo 140 miliardi di euro? Ce lo siamo mai chiesti?
Inverno demografico, allungamento dell’aspettativa di vita mettono a rischio la sostenibilità del Ssn: come si può garantire la permanenza di un Ssn in grado di erogare i livelli essenziali delle prestazioni?
Gli elementi citati portano a dire che la quota di anziani sul totale della popolazione tenderà ad aumentare. Considerando altri fattori – ad esempio il reddito e l’evoluzione tecnologica –
tutti i modelli di previsione si attendono che ci sia in futuro un aumento della spesa sanitaria, per il nostro Paese circa dell’1% del Pil.
Se ci concentriamo solo sull’invecchiamento allora dobbiamo riconoscere che il tipo di malattie che dobbiamo curare cambia; per la transizione epidemiologica dobbiamo trattare più malattie croniche che richiedono servizi territoriali più che ospedalieri. Credo che questo sia il punto sul quale concentrare l’attenzione: da anni, forse decenni, continuiamo a dire che a mancare sono i servizi territoriali. L’ultima risposta è stata offerta dal Decreto ministeriale 77/2022, che definisce Case della comunità e Ospedali della comunità, che le Regioni stanno realizzando, ma ancora non c’è chiarezza sul personale che in queste strutture dovrebbe operare. Ancora non sappiamo, per esempio, se i medici di medicina generale contribuiranno a realizzare questo tipo di servizi. Se vogliamo rendere il sistema sostenibile di questo dovremmo discutere, altrimenti si rischia di offrire servizi che però non parlano più ai bisogni della popolazione. È questa la questione chiave riguardante la compatibilità delle risorse con i servizi da offrire ai cittadini.
A seguito della pandemia, il Pnrr ha previsto ingenti investimenti per modernizzare e rafforzare il Servizio sanitario nazionale entro il 2026. A che punto siamo?
Dalla rendicontazione ufficiale e dalle informazioni che abbiamo sappiamo che le strutture territoriali si stanno realizzando ma, come dicevo prima, non abbiamo ancora ben chiaro cosa succederà per il personale; quindi, se e come queste strutture saranno operative.
Il Pnrr però non è solo sanità territoriale, perché l’idea era quella di un’integrazione sempre più forte tra ospedale e territorio. E un ospedale funziona bene se il territorio funziona bene:
in entrata, in modo da sgravare il Pronto soccorso attraverso l’attività dei servizi territoriali, e in uscita, nel momento delle dimissioni di un paziente che viene preso in carico dal territorio. Per rafforzare la rete ospedaliera bisogna applicare il Decreto ministeriale 70/2015 che le Regioni hanno fatto finta di non vedere perché è molto complicato procedere con la chiusura di un piccolo ospedale che non è in grado di offrire servizi dal punto di vista qualitativo e dell’esito che invece i grandi nosocomi garantiscono.
![]()
La scorciatoia del “lasciamo tutto così com’è” porta ad avere un sistema che davvero rischia di non stare più in piedi.
Mi lasci aggiungere una cosa…
Prego.
Mi pare evidente che il privato – sia dal lato assicurativo sia da quello dell’offerta di servizi – è molto rapido nel vedere quali sono i bisogni che esprimono i pazienti e nell’offrire delle risposte. L’impressione è che
se i servizi di sanità territoriale non li fa il pubblico, prima o poi avremo una risposta da parte del privato, molto più rapida, che spiazzerà il pubblico.
Un altro aspetto problematico del Ssn è rappresentato dalle liste d’attesa. Alcune Regioni hanno predisposto esami la sera e nei fine settimana, ma altre pensano di introdurre la “super intramoenia”. È ormai impensabile preservare un servizio capace di garantire ancora universalità, uguaglianza ed equità…?
È chiaro che il paziente che può permetterselo e che ritiene necessario avere un servizio, se non ha una risposta pronta da parte del pubblico, se lo va a comprare nel privato. Questo succede da tempo, la novità di oggi è che
si è acuito il fenomeno perché la pandemia ha creato una sorta di tappo sul fronte delle prestazioni
e le agende si sono fatte più intasate che in passato. Dati ufficiali li aspettiamo dalla nuova piattaforma sulle liste d’attesa: quando avremo a disposizione dati nazionali potremo fare delle valutazioni più articolate. Mi lasci però dire che
sul fronte della diagnostica si deve affrontare il tema dell’appropriatezza prescrittiva; molte prestazioni sono inappropriate e questo molto a che fare con la medicina difensiva.
Ma se questo è vero, allora il problema non è la semplice sostenibilità ma che i medici prescrivano prestazioni davvero appropriate.
La tecnologia può davvero salvare la sanità? È quello il futuro che ci attende?
La tecnologia può dare certamente un contributo quando sappiamo utilizzarla bene. Tra l’altro, una delle gambe del Pnnr è rappresentata dall’ammodernamento tecnologico degli ospedali;
possono essere utili i modelli di intelligenza artificiale che aiutano i clinici a fare diagnosi, individuando più rapidamente quali sono le prestazioni più o meno appropriate sulla base di parametri clinici o definendo un ranking di priorità per capire quale paziente è meglio far passare prima. Ma non può mancare una valutazione critica accanto alla macchina.
Anche perché, a mio avviso,
![]()
rimane centrale la questione che ancora oggi chiamiamo responsabilità.
Prefigurare cosa potrà accadere è difficile; avrà a che fare con la nostra capacità di regolare i sistemi. Oggi come oggi il mio medico potrebbe usare sistemi di intelligenza artificiale: la responsabilità di dire “per la malattia X deve prendere la pillola Y” di chi è? Se è del medico allora la possibilità di sostituirlo integralmente con una “macchina” non c’è; se, invece, è della macchina, allora a questo punto come società possiamo scegliere di fare a meno del medico. Sono dell’idea che la responsabilità deve rimanere in capo al medico e la “macchina” più solo aiutare, può coadiuvare.