Idee
Si sapeva che c’erano i cecchini a Sarajevo. Il viale principale era stato rinominato “viale dei cecchini”. Quando il 12 dicembre 1992 abbiamo percorso le strade di Sarajevo sotto assedio da diversi mesi, con don Tonino Bello, don Albino e altre 500 donne e uomini disarmati, con la Marcia della Pace, ricordo ancora quell’uomo di Sarajevo che mi tira per la giacca portandomi al riparo, vicino ad una fontana dietro ad un muro e, indicandomi le montagne, mi ha dice: “snipers”, cecchini.
La voce che cecchini arrivassero da altri Paesi circolava da tempo. A guerra finita, poi, mi è capitato anche di vedere alcune delle postazioni all’interno delle quali si sistemavano gli snipers. Ho visto anche casse di munizioni, made in Italy, sicuramente utilizzate per colpire gli abitanti di Sarajevo, dalle montagne che la circondano, durante l’assedio iniziato nell’aprile ’92 e terminato alla fine del ’95.
Confesso, però, che mai avrei immaginato di leggere sui giornali in questi giorni che anche dall’Italia partivano “turisti cecchini” per andare Sarajevo a sparare, pagando, su donne e bambini. Leggo su Avvenire di oggi 12 novembre: “Ritrovarsi a Trieste, prendere un aereo e volare a Sarajevo per sparare a donne e bambini, pagando le milizie serbe appostate sulle colline. Come un incubo orribile, dopo 30 anni, riemerge la storia dei ‘cecchini turisti’, fra cui ‘molti italiani’, che durante la guerra nell’ex Jugoslavia partivano per la loro caccia disumana. Vecchi ricordi e voci in queste ore si rincorrono: a riaprire il vaso di Pandora è stato un esposto presentato alla procura di Milano dallo scrittore giornalista Ezio Gavazzeni. Partito da un documentario del 2022, ‘Sarajevo Safari’, di Miran Zupanic, ha iniziato a scavare”.
La procura di Milano indaga. E speriamo sia fatta piena luce su questa vicenda abominevole.
Restano alcune riflessioni da fare: cosa ha spinto queste persone? Quale motivazione li ha portati a pagare per uccidere? Una partecipazione a dir poco onerosa, visto che si parla di somme molto alte, per persone ricche quindi e che, forse, godevano nel proprio ambito sociale e familiare anche una buona rispettabilità.
Ma erano uomini che sparavano a bambini, donne, uomini, simili a quelli lasciati nella propria casa o nel proprio paese. Nel centro di Sarajevo c’è un giardino con un monumento sul quale sono scolpiti i nomi di tutti i bambini uccisi durante l’assedio.
Siamo nell’anno del Giubileo, un tempo per fermarsi, che chiede di convertirci e che invita a riflettere. Evitare di fare l’abitudine davanti a questo scempio, a un gesto così spregevole e infame. Eppure, guardando qualche notiziario, sembrava ci fosse più passione e indignazione per il concorso di Miss Universo, che non per la notizia sui cecchini italiani a Sarajevo, raccontata, a mio avviso, in modo asettico, come se si parlasse dell’esonero di un allenatore di calcio. Se ci abituiamo anche a questo, rischiamo di abituarci a tutto. La globalizzazione dell’indifferenza. Rischiamo di non sperare più in un mondo disarmato. Di non sostenere i giovani impegnati in tantissime esperienze di pace, a iniziare dal servizio civile. Ci abitueremo sempre più alle Fiere che espongono armi e le presentano ai bambini. Abituarci ad una serie di attività “formative” e “culturali” che educano alla guerra. E quando si apre anche solo uno spiraglio alla guerra, il rischio è che porta si spalanchi e tutto può succedere. Anche diventare cecchini per divertimento. Perché questa è la guerra, con tutte le sue aberrazioni.