Ho avuto modo in questi giorni di riascoltare il discorso che scrisse Charlie Chaplin nel film “Il grande dittatore” di ormai 85 anni fa e consiglio a tutti di andare a riprenderlo per la sua grande attualità. Parole che rispolverano quel bisogno di umanità, di giustizia e di fratellanza che non possono non albergare nel cuore di un essere umano. Non possono o meglio “non dovrebbero”, perché, a tratti, sembra di vivere una inversione di marcia verso il disinteresse e l’individualismo più sfrenato. Non siamo ancora in grado di essere uniti verso un obiettivo comune di convivenza reciproca, prova ne è la reazione non unanime nei confronti delle guerre che occupano le copertine dei nostri quotidiani. La pace sembra un desiderio comune, come ottenerla no!
Martin Luther King, al termine della marcia su Washington, parlava di un sogno ed effettivamente è solo a partire dai sogni che si possono costruire i grandi progetti. Un sogno che nasce dall’esperienza cruda della guerra, dal dramma della morte, dal freddo vuoto della distruzione. Credo che le immagini degli attuali conflitti, che la televisione o la rete ci offrono, tocchino in profondità i cuori ancora capaci di umanità e compassione, e questo è il punto di partenza per poter sognare la pace: sentire scorrere dentro le proprie vene il freddo glaciale delle vite spezzate ingiustamente sotto i colpi delle armi da fuoco e intuire, anche solo minimamente, il vuoto interiore che prova chi ha perso tutto, o anche solo un pezzo di cuore, per la violenza inaudita della guerra. Parlare di pace significa avere chiaro, non solo nella mente ma anche nel cuore, cosa vuol dire morte e distruzione!
Consapevole di non essere un esperto, provo a tracciare alcuni punti di partenza per ricostruire oggi una mentalità pacifica necessaria per una società capace di sognare e difendere la pace, non solo per sé ma per il mondo intero.
Anzitutto, prendo a prestito le parole con le quali Martin Luther King introdusse il celebre e già citato I have a dream: «E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno». Lucido e onesto, Luther King premette che le «asperità di oggi e di domani» ci saranno. La pace non si fa senza fatica e senza lotta. Una lotta non violenta, condotta insieme e non in solitudine, fatta non solo di buone intenzioni e buona volontà ma anche di strategie e di coraggio. Sono importanti i cortei e le manifestazioni ma da sole non bastano, servono scelte e radicali cambiamenti di vita per fermare la violenza bellica. Ri-educarci a vivere, con uno stile diverso e soprattutto meno solitario, le sfide che la vita ci pone davanti è fondamentale per costruire una società non-violenta.
Il secondo passaggio è proprio questo: vincere l’individualismo per riscoprire la forza del gruppo. Un detto africano recita: «Da soli si va più forte ma insieme si va più lontano». Abbiamo perso il gusto del sognare insieme e insieme costruire progetti di bene comune. Le Acli, come tanto altro associazionismo, nacquero in un tempo in cui era naturale mettere insieme le forze per rispondere ai bisogni che la società faceva emergere. Oggi l’associazionismo è in crisi e con esso tutta la sfera legata all’adesione a un ideale. Viviamo esausti dai ritmi delle nostre vite quotidiane incentrate sul lavoro e le necessità di una famiglia. Ma è un circolo vizioso dal quale dobbiamo trovare il modo di uscire: dedicare parte del nostro tempo per strutturare gratuitamente strade di libertà, di dignità e di benessere comune è e deve diventare una nuova priorità se vogliamo vincere il pensiero egoistico individualista e vogliamo costruire un futuro diverso. Lo aveva intuito papa Francesco e l’aveva ben sintetizzato in quello che diventò presto uno slogan comune: «O ci salviamo insieme o non si salva nessuno».
Un terzo passaggio necessario è imparare un linguaggio di pace, capace di dimenticare i toni aggressivi dell’odio e della diffamazione reciproca per fare spazio alla gentilezza e alla forza di neologismi per promuovere l’altro e di valorizzare il bene che c’è. Un linguaggio che metta in risalto le buone pratiche di vita comune, di convivenza rispettosa e pacifica. Imparare il linguaggio dell’incontro e della conoscenza del prossimo prima dei preconcetti che inchiodano l’altro a essere una categoria prima che una persona. Imparare un linguaggio di pace significa scoprire che la forza più grande non è quella delle armi, dei muscoli o della repressione ma è quella del pensiero positivo e costruttivo. Senza di questo ogni sforzo per la pace rischia di diventare una nuova guerra, vestita malamente di buone intenzioni.
Partissimo anche solo da questi passi, saremmo una rivoluzione per il futuro che ci aspetta. Le Acli Padovane, dal canto loro, si sono interrogate fin da subito su come porsi dalla parte della pace in maniera efficace e significativa, cercando di fare rete e cercando strategie capaci di risvegliare le coscienze di fronte ai temi più caldi. Essere associazione fondata sui pilastri della democrazia, del lavoro e del Vangelo, ci permette di avere gli strumenti e gli spunti per essere significativi e per stimolare una riflessione e un dialogo su questo tema, e ben vengano i contributi di associati e non per crescere e far crescere una nuova mentalità diffusa di pace.