Se in Italia, in un solo anno, si sono mancate ben 50 mila diagnosi di cancro è perché abbiamo anzitutto un problema culturale. I dati del Report 2023 dell’Osservatorio nazionale screening (Ons) – network che monitora gli screening oncologici offerti dal sistema sanitario nazionale – non lasciano spazio a dubbi dal momento che solo una persona su tre si sottopone agli esami preventivi a cui viene invitata dalle aziende sanitarie.
Per scendere nei particolari, su 16 milioni di cittadini invitati a eseguire in test di screening, solo 6,9 milioni hanno accettato. Solo una donna su due si sottopone alla prevenzione per il cancro della mammella o della cervice uterina, mentre due su tre sono le persone che accedono alle strutture sanitarie per verificare eventuali lesioni al colon-retto. In questa maniera, come ha osservato il direttore della fondazione Gimbe Nino Cartabellotta, rendiamo inefficace il principale strumento che abbiamo a disposizione per difendere la nostra salute da una delle malattie più impattanti sui singoli e sulle persone che vivono con chi ne è affetto: la diagnosi precoce. Non nuoce ricordare come, essendo inseriti nei Livelli essenziali di assistenza, gli screening gratuiti per tutti devono essere somministrati dalla sanità pubblica in tutte le Regioni del Paese. Le prestazioni indicate sono la mammografia per le donne tra i 50 e i 69 anni (in alcune regioni non sottoposte a piani di rientro estesa alle donne tra i 45-49 anni e i 70-74); lo screening del tumore della cervice uterina per le donne tra i 25 e i 64 anni; e quello colon-rettale per donne e uomini tra i 50 e i 69 anni (in alcune regioni anche nella fascia 70-74). Se nel 2022 il governo aveva indicato come obiettivo per l’anno in corso una copertura del 90 per cento della popolazione, occorre prendere atto che la situazione è ben diversa da quella sperata, con un’adesione che sfiora appena il 40 per cento, seppur con modaliutà e risultati differenti da Regione a Regione Complesso indagare le ragioni che spingono le persone a sottoporsi a esami gratuiti che possono letteralmente salvare loro la vita. Da un lato è necessaria un’azione di maggior sensibilizzazione da parte delle stesse autorità in campo sanitario, dall’altro è importante che il singolo cittadino sia in grado di inserire la propria salute ai primi posti nella scaletta delle priorità.
Il problema è grave, specialmente se associato ad altre disfunzioni del sistema Paese in materia di salute pubblica. L’ultima relazione disponibile del Cnel (il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro) certifica infatti che, oltre a chi non si sottopone agli screening, esiste in Italia una vasta porzione di popolazione che rinuncia alle cure mediche per ragioni economiche. Parliamo di 4,5 milioni di italiani nell’ultimo anno, il 7,6 per cento del totale: la fascia di popolazione più colpita è quella tra i 55 e i 59 anni, soprattutto donne (9 per cento rispetto al 6,2 per cento degli uomini), mentre per l’infanzia il rischio è quasi inesistente (1,3 per cento). Non giovano all’accesso alle cure nemmeno le lunghe liste d’attesa salite dal 2,8 al 4,3 per cento nell’arco di quattro anni (2019-2023) tra le cause alla base della rinuncia alla cure. Mentre in Parlamento solo pochi giorni fa la presidente Meloni e la segretaria del Pd Schlein polemizzavano proprio sulla sanità, il territorio manifesta segnali di cedimento. La carenza di professionisti si fa sentire, così nelle Case e negli Ospedali di comunità che stanno sorgendo (l’ultimo ad Asiago venerdì scorso) non è scontato trovare organici completi, né tra i medici né tra gli infermieri. Non si tratta certo di un’emergenza o di un fenomeno che solo ora si pone alla nostra attenzione, ma di soluzioni reali all’orizzonte non si scorge nemmeno l’ombra.