Sinodalità, ora si decide: la Chiesa italiana al tempo delle scelte
Dopo anni di ascolto e discernimento, la Chiesa italiana entra nella fase attuativa del Cammino sinodale. La Terza Assemblea chiama a scelte concrete e corresponsabili, sostenute da una formazione condivisa. Il voto segna un passaggio storico: la sinodalità diventa stile di Chiesa, luogo di confronto, trasparenza e comunione reale
La sinodalità, in questi anni, ha preso corpo nelle diocesi, nei gruppi parrocchiali, nei consigli pastorali. Non è più solo un concetto da spiegare, ma un’esperienza concreta di ascolto, confronto, discernimento. Ha generato un movimento profondo, che ha risvegliato energie sopite, rimesso al centro relazioni, creato nuove connessioni. Ora si apre un passaggio decisivo: il tempo della responsabilità. Con la terza Assemblea del Cammino sinodale, si entra nella fase attuativa. Non bastano più le intenzioni: servono scelte, percorsi, decisioni condivise.
Le attese sono molte. I laici chiedono spazi reali di corresponsabilità. Le donne, un riconoscimento più pieno del loro servizio. I giovani, una Chiesa capace di futuro. Le parrocchie, relazioni meno autoreferenziali e più missionarie. La sinodalità non può restare una cornice, dev’essere sostanza ecclesiale: nella formazione, nella gestione dei beni, nei linguaggi liturgici e nei processi decisionali. Tutto questo richiede visione e continuità, ma anche coraggio e pazienza.
La vera infrastruttura sarà la formazione. Non si tratta solo di proporre corsi, ma di accompagnare le comunità a una maturazione condivisa. Laici, presbiteri, religiose e religiosi hanno bisogno di strumenti per leggere i tempi, abitare i cambiamenti, esercitare il discernimento. La formazione non è un’aggiunta, è la condizione per rendere possibile una Chiesa più partecipata, umile e generativa. È anche la via per far emergere nuove ministerialità e restituire alla Parola di Dio un ruolo centrale nella vita quotidiana delle comunità.
Ma il voto di sabato non è un punto d’arrivo. È la consegna di una mappa per il viaggio che comincia. Il Consiglio episcopale permanente ha indicato i prossimi passi: un gruppo di vescovi elaborerà le priorità da presentare all’Assemblea generale della Cei, da cui scaturiranno orientamenti pastorali da qui al 2026. Non sarà sufficiente dire “sì” o “no”: occorrerà indicare chi fa cosa, con quali strumenti, in quali tempi. L’attuazione sarà il banco di prova: è lì che si vedrà se davvero lo stile sinodale è stato assunto in profondità.
Anche il metodo è parte della novità. Il sistema del placet/non placet su ciascuna proposta, con pubblicazione integrale dei risultati, rappresenta un atto inedito di trasparenza. Non si mascherano le differenze per ottenere consensi facili. Si accetta il confronto come spazio ecclesiale. È una grammatica nuova, dove le convergenze e le tensioni non si escludono, ma si riconoscono come terreno di crescita comune. È il segno di una Chiesa che non ha paura di mostrare anche le sue fatiche, sapendo che l’unità non si costruisce nascondendo le diversità, ma attraversandole insieme.
Non capita spesso che una Conferenza episcopale convochi tutto il popolo di Dio, lo ascolti, accetti modifiche e voti pubblicamente su proposte concrete. È un fatto storico, che interpella la credibilità stessa della Chiesa. La sinodalità non è un evento da celebrare, ma uno stile da consolidare. Il tempo dell’attuazione è già iniziato. E passa per il coraggio di restare in cammino.