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Soccorso all’Ucraina ferita. Il cuore della solidarietà pulsa ancora
È quello della solidarietà che ora, dopo aver aiutato i rifugiati al confine, si dirige nelle viscere dell’Ucraina per aiutare chi non è riuscito a fuggire
FattiÈ quello della solidarietà che ora, dopo aver aiutato i rifugiati al confine, si dirige nelle viscere dell’Ucraina per aiutare chi non è riuscito a fuggire
A Cernivci, città ucraina a una quarantina di chilometri dal confine rumeno di Siret, la resistenza della popolazione non si fa preparando molotov, la si fa coordinando l’assistenza umanitaria. Accogliendo gli sfollati interni, ricevendo gli aiuti dalle Ong internazionali da spedire nelle città sotto assedio e organizzando pullman i cui guidatori si addentrano nelle zone accese del conflitto per recuperare i civili bloccati a Mariupol o a Odessa. Cernivci non è mai stata bombardata e la bellezza del centro è ancora intatta, sono molti gli ucraini che di giorno passeggiano per le strade. I negozi però sono chiusi e il coprifuoco scatta alle 22: essere fuori dopo quell’ora comporta l’arresto. La parvenza di normalità è un velo che si squarcia completamente nel momento in cui suonano le sirene d’allarme e i 300 mila abitanti di Cernivci, insieme agli oltre 60 mila profughi arrivati dall’inizio della guerra, si rifugiano nei bunker allestiti nei seminterrati. Questo succede fino a tre volte al giorno. Le associazioni ucraine sanno dove concentrare gli aiuti umanitari che arrivano da oltreconfine in questa regione: le medicine, i prodotti per l’igiene personale e i beni di sussistenza servono dentro l’Ucraina. Nei paesi di frontiera, dicono, è necessario andare oltre l’assistenzialismo per implementare una vera e propria integrazione. Questo significa, per i connazionali già accolti nei Paesi europei, trovare posti di lavoro e creare condizioni di vita in cui possano essere indipendenti. Nel cuore dell’Ucraina rimangono, invece, i milioni di sfollati interni che non sono potuti scappare durante le prime settimane perché non ci sono corridoi umanitari e il viaggio era troppo pericoloso, perché non ne avevano le possibilità economiche o un mezzo con cui raggiungere il confine, oppure perché hanno preferito rifugiarsi in città più sicure senza lasciare il Paese.
A raccontare le condizioni di chi ancora si trova bloccato sotto le bombe è Kostiantyn Kuchurian, fondatore dell’associazione Hands of Mercy di Cernivci: «Il 95 per cento delle persone nelle città sotto attacco ora è nei bunkere negli ospedali. Vogliono uscire e hanno bisogno di medicine che non riescono ad avere. Qui arrivano molti aiuti, noi potremmo distribuirli tutti nel distretto di Cernivci per i rifugiati che ci hanno già raggiunti, ma abbiamo deciso che il 90 per cento andrà nelle zone di conflitto. Lì le persone non hanno nulla da mangiare anche per otto o dieci giorni».La diminuzione dei flussi in uscita che si osserva sul confine rumeno-ucraino in questi giorni conferma che l’emergenza rifugiati è nelle aree interne dell’Ucraina. Il valico al confine di Siret, che fa da principale punto di raccordo tra il nord est della Romania e il sud-ovest dell’Ucraina, ha visto oltre 200 mila donne, bambini e anziani in fuga. La maggior parte di chi è arrivato autonomamente al confine è scappato durante le prime settimane di conflitto. Ora a Siret i numeri sono diminuiti ma gli arrivi proseguono grazie al lavoro dei volontari che organizzano staffette: i pullman delle Ong passano la dogana, arrivano a Cernivci o si addentrano verso Kharkiv e Odessa, e recuperano le persone che vogliono uscire dal Paese ma non hanno i mezzi per farlo. C’è anche chi al confine ci arriva a piedi, con un trolley o con uno zaino in spalla, quasi tutti con le lacrime agli occhi e uno sguardo confuso. E poi ci sono anche signore anziane che viaggiano da sole perché hanno perso i figli che le accompagnavano lungo la strada.
A Siret i volontari offrono ristoro nelle tende allestite ad appena qualche metro dalla dogana e lavorano in collaborazione con la Croce rossa rumena per la prima assistenza. Dal punto di vista sanitario significa offrire prodotti per l’igiene personale e medicine di base: «Arrivano donne con bimbi e con in mano solo una borsa, o neanche quella, anche senza scarpe in alcuni casi – racconta Estera, volontaria della Croce rossa – Non hanno cibo, non hanno medicine. Non gli servono solo prodotti sanitari, ma anche qualcosa da mangiare e acqua». Il corpo dei pompieri svolge invece una funzione di registrazione degli arrivi e di monitoraggio dei volontari sul posto. L’obiettivo è contrastare il rischio di tratta e speculazione sulla pelle dei rifugiati: nelle prime settimane, infatti, quando i flussi erano al limite della gestibilità e la presenza delle autorità scarsa, c’era chi offriva passaggi per mete europee chiedendo somme da capogiro. Molti dei rifugiati che passano per questo valico di confine arrivano da Kharkiv e si dirigono verso Paesi europei, soprattutto Germania ma anche Italia. Per queste persone riuscire a trovare un passaggio non è difficile. Sono tanti i pullman di volontari disposti a portare i profughi nei Paesi dove hanno già dei contatti che li aspettano, oppure dove ci sono strutture di accoglienza. Alcuni di questi pullman non partono nemmeno al completo, perché l’offerta è in questa fase anche superiore alla domanda. Altro fattore è il timore di molti dei rifugiati ucraini di mettersi nelle mani dei volontari, che in certi casi termina solo una volta arrivati nella destinazione da loro indicata, quando la diffidenza cede il posto ai ringraziamenti. Capita anche, come nel caso di un pullman napoletano che aspettava l’arrivo a Siret di rifugiati provenienti da Odessa per portarli in Italia, che alcune persone in Ucraina vogliano uscire dal Paese ma terrorizzate al pensiero di finire nelle mani di trafficanti che li deporteranno in Russia. In quel caso i volontari hanno mandato foto di gruppo con le bandiere italiane per convincerli della loro buona fede. Con i flussi in uscita diminuiti e gli aiuti in entrata in aumento quel che emerge è che la macchina della solidarietà per ora non accenna a fermarsi, ma pare doversi dirigere verso il cuore dell’Ucraina, da dove arrivano le richieste d’aiuto più disperate.
Una bambina con un nome e un telefono scritti dalla madre sulla sua schiena, per esser certa che – qualora lei non sopravvivesse alla guerra – qualcuno sappia l’identità della piccola e a chi affidarla. La foto è stata twittata dalla giornalista del Kyiv Independent Anastasiia Lapatina.
Francesca CampaniniInviata da Cernivci