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Diciamo la verità: fare luce sui crimini di guerra compiuti dai nazifascisti in Italia nel biennio 1943-45 non è mai stato un obiettivo principale. Al di fuori dei parenti delle vittime e delle comunità direttamente colpite dagli eccidi, l’argomento è sempre stato poco considerato. Non è stato facile neppure per gli storici avere accesso alle fonti dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito (Ussme). Si è persino ritenuto che si volesse occultare la verità.
La mostra che sta girando per tutta l’Italia (ospitata in Galleria civica di piazza Cavour a Padova fino al 4 gennaio), curata da Marco De Paolis, procuratore generale militare presso la Corte di appello di Roma, affronta coraggiosamente ogni aspetto (storico e giudiziario) connesso agli eccidi più brutali che hanno visto soccombere 70 mila militari del Regio Esercito, e oltre 24 mila civili. Considera pure i crimini di guerra commessi dai soldati italiani in Jugoslavia e in Grecia prima della caduta del fascismo: 25 luglio 1943.
“Nonostante il lungo tempo trascorso…”, perché questo titolo procuratore De Paolis?
«Queste parole sono tratte da un provvedimento giudiziario della famosa archiviazione provvisoria con la quale il Procuratore generale militare del 1960 aveva messo una pietra tombale su 695 fascicoli relativi alle stragi nazifasciste commesse in Italia e all’estero sulla popolazione civile e sui nostri militari prigionieri di guerra (a Cefalonia, ad esempio, vennero massacrati almeno 5 mila soldati della Divisione Aqui che si erano arresi ai tedeschi). Ebbene quei fascicoli sancivano la fine di una iniziativa giudiziaria che non aveva mai visto la luce. Noi l’abbiamo intesa, invece, come il recupero dei valori sui quali oggi è costituita la nostra nazione: libertà, solidarietà e rispetto della vita umana e soprattutto adempimento del dovere da parte dei cittadini, da parte dei militari, da parte dei pubblici funzionari».
Storia e giustizia sembrano in sintonia…
«Ci abbiamo provato perlomeno. La mostra nasce da un’idea del capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli che, raccogliendo una mia proposta per costituire un centro di documentazione sui crimini di guerra avvenuti dal 1943-45, sui processi sulle indagini a essi relativi, ha voluto dare inizio a un percorso culturale di recupero della memoria di questi fatti che non sono adeguatamente conosciuti o lo sono in modo deformato».
Può darci qualche dato sui crimini nazifascisti commessi in Italia e all’estero sulla popolazione civile e sui militari italiani prima e dopo l’armistizio del ’43?
«I numeri sono impietosi: 70 mila vittime militari in Europa in centinaia di episodi. Oltre un migliaio di vittime militari in Italia. 650 mila i soldati deportati in Germania e classificati come Imi (Internati militari italiani) perché non fossero ispezionati dalla Croce Rossa. 24.409 vittime civili in Italia in 5.872 episodi, di cui 14.935 al Nord (il più martoriato), 6.862 al Centro, 2.623 al Sud. Queste morti derivano da fucilazioni, impiccagioni, violenze e torture praticate nelle città verso coloro che si opponevano all’occupazione nazista».
Le perdite dei tedeschi erano generalmente minime, eppure finivano per provocare una risposta di livello superiore. Come si spiega tanta barbarie?
«Il nazismo aveva costruito una insidiosa e paradossale mistificazione della realtà: per poter massacrare impunemente migliaia di prigionieri di guerra italiani, qualificano come traditori quei soldati che, per restare fedeli al giuramento prestato al re e alla patria, non cedono le armi e non passano nelle file dell’esercito germanico della cosiddetta Repubblica sociale. I partigiani vengono definiti banditi o ribelli da eliminare. Chi forniva loro aiuto o protezione era passato per le armi».
Esiste una lista con tanto di nomi e cognomi di generali dell’esercito italiano che si sono resi responsabili di stragi…
«In Grecia, in Albania e in Jugoslavia e negli altri territori esteri ove si trovavano dislocati i nostri reparti, si consumano atroci massacri di prigionieri di guerra colpevoli unicamente di tener fede al giuramento prestato al proprio paese. La barbarie colpisce anche i civili attraverso una sovversione delle regole. I civili vengono trasformati in ostaggi, in soggetti colpevoli solo perché residenti nello stesso territorio dove operano i patrioti combattenti. Il massacro di Domenikon del 16 febbraio 1943 in Grecia ne è un esempio eclatante: moriranno 140 civili».
A 80 anni di distanza, a quale esito giudiziario si è arrivati?
«Il profilo giudiziario è molto complesso e la mostra non manca di sottolinearlo. È posta grande attenzione su molti episodi poco noti o del tutto ignoti. Dà informazioni sui 50 processi penali militari delle Corti alleate e dei 15 processi fatti nei Tribunali militari italiani. Dei 695 fascicoli giudiziari occultati, 24 i processi celebrati dopo la scoperta dell’“armadio della vergogna” dai tribunali militari italiani».
“Nonostante il lungo tempo percorso. Le stragi nazifasciste nella guerra di liberazione 1943-45. Storia-Giustizia-Memoria”, questo il titolo della mostra, è realizzata a cura dello Stato Maggiore della Difesa e della Procura generale militare presso la Corte militare di Appello di Roma, con l’Alto patronato del Presidente della Repubblica. Illustra – con fotografie, immagini video, narrazioni orali, documenti e schede storiche – le tappe del lungo e doloroso percorso di costruzione della Repubblica Italiana, compiuto da decine di migliaia di civili e militari italiani che, attraverso il proprio sacrificio, hanno consentito di gettare le basi per la costituzione dello Stato repubblicano e democratico. È posta particolare attenzione ai processi penali militari, che la giustizia militare ha celebrato dal dopoguerra a oggi.