Le Dorotee di Vicenza, presenti a Dolo da ottant'anni, propongono una riflessione sull’anno voluto dal papa. «Dobbiamo interpretare il nostro carisma con una lettura attenta ai segni dei tempi, alle urgenze della chiesa e del mondo».Per leggere il servizio e conoscere le attività delle suore dorotee a Dolo, iscriviti gratuitamente al sito.
Tempo fa, un parroco di un piccolo paese della provincia berica scrisse alla madre generale delle Dorotee di Vicenza chiedendole se poteva inviare, alla domenica, una suora come presenza durante le celebrazioni eucaristiche. «Ma siete un piccolo gregge! Vi serve proprio una suora?». «Sì, ci serve – le rispose il parroco– senza la figura di una consacrata la nostra comunità parrocchiale è come una famiglia priva di un membro, mancherebbe di una vocazione, il frutto fecondo di un carisma dello Spirito santo».
Questo aneddoto sottolinea in semplicità il significato profondo della realtà della vita consacrata nella chiesaDice san Paolo: «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune… Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor, 4-7;11). La chiesa, la famiglia dei figli di Dio, è un grembo che genera lungo il corso della storia uomini e donne, capaci di orientare al bene di tutti la totalità del loro essere; lo fanno gli sposi, in funzione della capacità unitiva e creativa del sacramento del matrimonio, nell’ambito della famiglia con i loro figli; lo fanno i consacrati, mettendo nelle mani di Dio ciò che sono e ciò che hanno, le doti umane, spirituali, intellettive, perché, come si prega nel Padre nostro, venga il Regno di Dio sulla terra, sia fatta la sua volontà tra gli uomini.
Ci si può interrogare: perché papa Francesco ha voluto un anno della vita consacrata?Le risposte possono essere molte e anche ambigue: i religiosi, le religiose qui in Italia, in generale in Europa, nell’America del Nord, diminuiscono, è bene dare degli input per scuotere dal torpore di una vita cristiana mediocre e risvegliare vocazioni pronte a prestarsi per questa o quella opera caritativa. Può essere una risposta anche valida, ma non esaustiva.
Nella chiesa ci sono tante necessità, anche il papa le richiama: ci sono le periferie umane che ci interpellano con un’immensità di bisogni di evangelizzazione e di carità. Ma non per questo ha indetto l’anno della vita consacrata. Papa Francesco vuole un risveglio di senso del nostro essere, ci vuole rimotivate, e lo fa con tre suggerimenti: guardare al passato con gratitudine; vivere il presente con passione; abbracciare il futuro con speranza, svegliando il mondo con la propria testimonianza. Alla base della vocazione di consacrazione nella chiesa c’è un incontro d’amore: un Dio che sceglie una creatura, non guardando ai suoi meriti, ma solo perché l’ama; i gusti di Dio, poi, sono indiscutibili, possono lasciarci perplessi. Gesù si è scelto Pietro che durante la passione lo ripudierà! Si è scelto Giuda che lo tradirà! Non sceglie un religioso perché è una persona speciale, simpatica, perché ha tante capacità… Egli sceglie con libertà, perché ama ognuno per quello che è (vedi il vangelo del giovane ricco, Mc 10,17-22), lo lascia libero di aderire al suo progetto. Ecco la creatura si pone in risposta all’amore di Dio con la sua povertà creaturale, ma con l’ardire: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil 4,13). Si consegna senza remore, senza ma, in un incontro sponsale, personalissimo, un di più d’amore ogni giorno, fresco, giovane, gioioso, che il tempo non scalfisce, ma svela in sfumature dalle tonalità intense con lo sfiorire degli anni.
Questa donazione viene formalizzata nel giuramento pubblico di osservare i voti di castità, povertà, obbedienzaSono segni del dono di se stesse, che attraversano la disponibilità del cuore. Al Signore doniamo tutta la nostra affettività, che si rivela in un cuore di madre, con la varietà delle sue tenerezze e dei suoi sentimenti. Doniamo il distacco dai beni terreni: «Li usiamo ma come non li usassimo» (1Cor 7), ci devono servire per andare incontro ai bisogni degli altri, nella piena condivisione fraterna. Doniamo la nostra volontà con l’obbedienza, perché l’ago magnetico della nostra mente sia sintonizzato con il polo della volontà di Dio. Il fatto di pronunciare i nostri voti in pubblico è pure un impegno per sottolineare come ogni religiosa fa parte di una comunità, famiglia di sorelle, unite dallo stesso carisma, protese verso l’ideale tracciato dal fondatore.
San Giovanni Antonio Farina volle denominare la congregazione, da lui fondata l’11 novembre 1836, Suore maestre di santa Dorotea, Figlie dei Sacri CuoriQueste parole delineano la nostra identità: dobbiamo incarnare nella vita i sentimenti del Sacro Cuore di Gesù – mitezza e umiltà – e del Sacro Cuore di Maria – dolcezza e tenerezza – nel dono continuo agli altri, soprattutto poveri, svantaggiati, sull’esempio di santa Dorotea, il cui nome significa “dono di Dio”. Dobbiamo interpretare il carisma con una lettura attenta ai segni dei tempi, alle urgenze della chiesa e del mondo nel contesto storico in cui siamo chiamate a vivere. Noi suore dorotee, qui a Dolo, con le attività di Casa Nostra, siamo nel cuore del carisma di fondazione, adeguato ai tempi, aperto sul territorio, con il desiderio intenso e amorevole di abbracciare chi fin da piccolo si scontra, come direbbe papa Francesco, con scelte di emarginazione e di marginalità. In una società dove impera l’individualismo, la testimonianza delle consacrate dovrebbe “dire” senza tante parole: è bello realizzare in pienezza la propria femminilità, la propria realizzazione di vita diventando ”strumenti” delle meraviglie del Signore, come amava pregare san Francesco: «Oh Signore, fa di me lo strumento della tua pace… Poiché è donando che si riceve, è perdonando che si ottiene il perdono, ed è morendo che si resuscita alla vita eterna».
suor Franca Zotti, responsabile di Casa Nostrasuor Giacinta Bolzon, responsabile di Casa Betania
Ottant’anni di accoglienza e amore per i minori, ma anche, da qualche decennio, cura delle religiose anzianeÈ l’opera Casa Nostra di Dolo, nata come segno dell’impegno caritativo dei parrocchiani dolesi. Fu affidata dall’allora arciprete mons. Vincenzo Fares alle Suore maestre di santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, considerata già la loro presenza locale nella scuola materna, nella casa di riposo e nell’ospedale. Un connubio, quello tra le Dorotee di Vicenza e la comunità di Dolo, che dura da 150, voluto anche dal vescovo e fondatore della congregazione religiosa, san Giovanni Antonio Farina, canonizzato lo scorso anno da papa Francesco.Due gli ambiti dell’opera: Casa Nostra – comunità educativa dedicata ai minori e Casa Betania, la famiglia delle religiose in quiescenza.L’ambito educativo è composto da tre comunità: due residenziali, di cui una con pronta accoglienza, e una terza funzionale all’ospitalità diurna. Vi sono poi cinque miniappartamenti adibiti all’accoglienza della mamma con il proprio figlio, che rispondendo a situazioni di marginalità sociale, valorizzano ancor di più il carattere familiare dell’intera struttura. Dodici suore, otto educatori, uno psicologo e cinque operatori garantiscono quotidianamente attenzioni e iniziative uniche nel loro genere. La missione è quella di offrire dei percorsi per la gestione di problematiche familiari di bambini e dei loro genitori. Casa Betania è invece vissuta da una comunità di 24 suore dorotee anziane, sagge di età e di servizio al prossimo. Una presenza definita “orante”, che attraverso la preghiera e piccoli servizi testimonia e alimenta il senso profondo dell’opera divina.
Gianluigi Naletto
