Fatti
Il costo umano della guerra civile in corso in Sudan tra le Forze armate sudanesi e le Rapid support forces (Rsf) ha raggiunto in due anni e mezzo proporzioni tali da rendere la situazione nel Paese africano la “crisi umanitaria peggiore in corso al mondo” secondo varie organizzazioni internazionali. Il World Food Programme delle Nazioni Unite segnala che il 45 per cento della popolazione sudanese, che corrisponde a 21,2 milioni di persone, si trova in condizioni di fame acuta. Stando ai dati forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dal 2023 la guerra ha causato lo sfollamento forzato di quasi 12 milioni di persone, di cui oltre 7 milioni sono sfollati interni che non sono mai usciti dal Paese e oltre 851mila sono persone tornate in Sudan dopo essersi rifugiate per un periodo oltreconfine.
Padre Diego Dalle Carbonare, missionario comboniano che vive a Port Sudan, città situata sul Mar Rosso in territorio controllato dalle Forze armate sudanesi, racconta: «Nel corso di questi ultimi due anni gli sfollati si sono spostati verso zone controllate dall’esercito regolare, e questo ci descrive anche un po’ la guerra. Nel senso che da una parte c’è l’esercito con un governo che, con tutte le sue difficoltà, i suoi limiti e il suo background storico, cerca di portare avanti un Paese. Nelle zone controllate dalle Rsf, invece, non c’è un sistema, c’è molto più caos, molta più violenza e molto più disordine. Il problema più grande è far sì che gli aiuti umanitari arrivino in quelle aree, dove il conflitto è ad alta intensità. Lì anche organizzazioni importanti come Medici Senza Frontiere, Emergency, la Croce Rossa e l’Onu fanno fatica a operare».
A due anni e mezzo dall’inizio del conflitto, i combattimenti si concentrano nelle regioni del Darfur e del Kordofan. Queste sono le aree, situate nel sud-ovest del Paese, dove le Rsf hanno guadagnato terreno portando avanti offensive militari caratterizzate da sistematiche atrocità contro la popolazione civile. L’ultima di queste campagne sanguinarie è culminata il 26 ottobre con la conquista da parte delle Rsf di El Fasher, la capitale del Nord Darfur, dopo un anno e mezzo di assedio e una battaglia finale in cui i paramilitari sono accusati di aver commesso violenze come uccisioni di massa su base etnica e stupri di gruppo.
Padre Diego Dalle Carbonare parla con la Difesa all’indomani del suo ritorno da un viaggio nella capitale Khartoum, epicentro in cui erano scoppiati i primi combattimenti il 15 aprile 2023 e riconquistata dalle Forze armate sudanesi nel marzo 2025. «Siamo stati a Khartoum con il nostro generale superiore padre Luigi Fernando Codianni perché due padri sono tornati a viverci da tre settimane e contiamo di riprendere una presenza pastorale. Le periferie della città sono un po’ più abitate, mentre il centro è deserto. Noi in centro abbiamo le nostre strutture, come il Comboni College e un ospedale, ma sono al momento abbandonate. Siamo andati a vedere i danni e ci siamo ritrovati in luoghi fantasma. La ripresa dunque partirà dalle periferie, dai quartieri lontani dai centri del potere, dai palazzi dei politici e dell’esercito. Questo credo sia interessante, nel senso che evidenzia come la vita dell’Africa e forse del mondo vada avanti grazie alla resilienza di chi vive lontano dal potere».
Padre Diego Dalle Carbonare lancia un appello: «Come Chiesa continuiamo a chiedere che si parli di Sudan e che si faccia il possibile per creare corridoi umanitari, fino ad arrivare alla pace. Questa non è una guerra tra due generali fatta per “capriccio”, è una guerra per procura voluta da forze esterne per il controllo delle risorse del Sudan, soprattutto dagli Emirati Arabi Uniti che sostengono i mercenari delle Rapid support forces».