Fatti
In Tanzania, dopo il voto del 29 ottobre 2025, la situazione è precipitata in uno stato di violenza e repressione senza precedenti. Le principali forze dell’opposizione sono state escluse dalla competizione, mentre il risultato ufficiale attribuisce alla presidente Samia Suluhu Hassan una vittoria con circa il 97-98 % dei consensi. La missione di osservatori dell’Unione Africana ha concluso che “le elezioni del 2025 non sono conformi ai principi e agli obblighi internazionali per elezioni democratiche”. Contestualmente, le forze di sicurezza – secondo organizzazioni internazionali – avrebbero utilizzato forza letale contro manifestanti e civili, imponendo blackout di internet e coprifuoco anche di giorno in varie città, compresa Iringa. Le cifre sulle vittime restano incerte: l’opposizione parla di circa 700 morti, ma alcune organizzazioni stimano fino a 3.000. Il clima è di crescente timore per la democrazia, la libertà d’espressione e il diritto al voto libero.
“Un imbroglio troppo evidente”. “Nel nostro villaggio abbiamo visto un’affluenza al voto di non più del 15 %, eppure i risultati ufficiali hanno indicato una partecipazione del 92 %. Un imbroglio troppo evidente che ha scatenato la reazione di molti cittadini”, racconta al Sir dalla missione di Kilolo, diocesi di Iringa, fra Paolo Boldrini, di Viadana (Mantova), diacono permanente dei Frati Minori Rinnovati. Vive in Tanzania da 41 anni – con un intermezzo italiano a Corleone dal 1992 al 1997 – ed è direttore esecutivo di una Ong locale indipendente che si chiama Makawi (Maendeleo na Wakati Kilolo – “Sviluppo al passo coi tempi Kilolo”), promossa dal 2004 insieme alla gente del posto nella regione di Kilolo.
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“Una dimostrazione del genere non si era mai vista in Tanzania, ma d’altra parte nemmeno un imbroglio di questa portata si era mai visto”.
Il gruppo di studenti e volontari rimasto bloccato. Nei giorni scorsi la sua fraternità (4 frati professi perpetui: lui italiano, un sacerdote francese, 2 fratelli tanzaniani; e 4 professi temporanei tanzaniani) nella parrocchia di Kilolo, nel villaggio Pomerini, ha ospitato un gruppo di 28 persone: 16 studenti del liceo Gigli di Rovato, quasi tutti minorenni, un professore e una professoressa accompagnatori, 10 volontari dell’associazione Talismano (Brescia), da anni sostenitori del Dabaga Institute of Agriculture, scuola di agricoltura e allevamento accreditata dallo Stato gestita da Makawi. Il gruppo è rimasto “bloccato” dal 29 ottobre in base alle indicazioni dell’Ambasciata italiana: pur restando in una zona ristretta e relativamente tranquilla hanno risentito delle conseguenze dirette e indirette degli scontri nella regione di Iringa (mancanza di internet, difficoltà nel reperimento di diesel e altri beni). Da poche ore la comunicazione è stata ripristinata e il gruppo è potuto partire per l’Italia, mentre il Paese continua a restare in bilico.
“Nonostante la nostra area sia rimasta relativamente tranquilla qui nella zona di Kilolo abbiamo avvertito innanzitutto l’insicurezza nella comunicazione: internet è sparito per giorni, i voli erano sospesi, è stato difficile reperire diesel e beni di prima necessità e la gente non riusciva a muoversi liberamente”, dice fra Boldrini. “Solo da un paio di giorni la comunicazione si è ripristinata e i voli sono ripresi”.
Una situazione di forte emergenza. Fra Paolo sottolinea che “non si è trattato solo di disagio logistico, ma di un segnale forte del carattere emergenziale della situazione in Tanzania: la sospensione delle scuole, la chiusura degli istituti superiori – come il Dabaga – e delle università ancora ferme; il coprifuoco, anche di giorno, imposto in città come Iringa;
un governo che da una parte tace o minimizza, dall’altra agisce con strumenti di repressione”.
Quali prospettive? “Al momento è difficile fare previsioni”. Fra Paolo ritiene che la popolazione civile non abbia ancora “leader capaci di catalizzarla verso strategie comuni”. Anche la Chiesa cattolica in Tanzania, che ha preso posizioni chiare a favore del rispetto del voto e della pace, “non sembra in grado di esprimere leader laici impegnati che possano dare un contributo decisivo”. “L’incertezza è alta: se chi detiene il potere non accetta di dialogare, come si può sperare in un ritorno della democrazia?”, si domanda fra Paolo.
Tanti attivisti sono stati arrestati e accusati di terrorismo. “Sono molte le situazioni di persone che hanno cercato di difendere la democrazia, nel senso di ascoltare i bisogni e la voce del popolo, e che sono stati zittiti in modi del tutto illegali”, spiega il missionario. La premier Samia “sembra manovrata dal un ristretto gruppo che all’interno del partito vuol gestire a proprio piacimento il potere” e pare che “non sia disposta a perdere il potere costi quel che costi, anche in vite umane”. Le richieste internazionali si moltiplicano: una commissione indipendente per indagare sulle morti e sulle violenze, piena trasparenza, riforme elettorali e rispetto della libertà di espressione e di associazione. “In questo senso”, aggiunge fra Paolo, “se è il governo per primo a non rispettare la legge e a impedire la giustizia, che modello di società stiamo costruendo?”.
“I tanzaniani in genere sono persone molto tolleranti, accomodanti, pazienti, ma anche loro hanno un limite – afferma -. Quando quel limite viene superato, temo che ci si possa aspettare di tutto. Come può governare un governo con un consenso che non supera il 20 %?”. “La via della nonviolenza è l’unica che possiamo chiedere – conclude – ma serve che chi ha potere abbia la volontà di dialogare. Come ha chiesto Papa Leone XIV nei giorni scorsi, “preghiamo, speriamo e operiamo perché la giustizia sia garantita e la Tanzania torni a godere della pace”.