Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde. Almeno in apparenza, sembra esserci uno strano dualismo che attraversa la natura del numero uno del mondo del tennis, Jannik Sinner. Più di una volta sdoppiato in due personalità tennistiche e sportive agli antipodi. Che a guardarle da fuori, verrebbe da chiedersi in che modo riescano a convivere nello stesso giocatore. E ad affiorare improvvisamente una dopo l’altra, non lasciando nemmeno una piccolissima traccia di quella precedente.
Da una parte, la versione schiacciasassi in stile Robocop. Un abito che Sinner da due anni ha imparato a indossare con la nonchalance di un modello di alta moda. L’altoatesino arriva in fondo ai tornei quasi giocando con la mano sinistra.
Mette nel congelatore gli avversari, collezionando set a zero e partite lampo con una facilità che è diventata routine. Ma che invece è lontana anni luce dalla normalità. L’ultima grande dimostrazione l’ha offerta a Londra, poco più di un mese fa. Quando ha alzato al cielo il trofeo di Wimbledon (il primo italiano di sempre), davanti a un Carlos Alcaraz inerme, disorientato dal tennis granitico dell’azzurro.
Una situazione che si è completamente ribaltata lunedì scorso, in finale a Cincinnati, con interessi (e che interessi). Sinner è stato costretto a ritirarsi dopo soli venti minuti, alzando bandiera bianca nel quinto game del primo set, quando era sotto 5-0.
Era irriconoscibile, Jannik. Le mani in volto, la cera di un fantasma. Un incubo per milioni di italiani e non solo, degno della miglior tragedia greca. L’eroe in apparenza inscalfibile, che si mostra al mondo in tutta la sua fragilità, colpito dagli scherzi del destino.
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Eccolo, il lato oscuro della luna che gli rimproverano in molti: una tendenza a cali fisici vistosi e preoccupanti.
Tra i più plateali, il malore – dovuto a un virus – accusato a Melbourne, lo scorso gennaio, nel match degli Australian Open giocato contro Rune. Anche in quell’occasione era sembrato febbricitante e senza forze, ma riuscì a recuperare e a vincere la partita. Il lieto fine non arrivò invece nel quarto di finale di Wimbledon 2024 contro il russo Medvedev. L’azzurro si fermò per undici minuti per un capogiro, ma al rientro in campo non portò a casa la partita. Senza dimenticare il problema all’anca che lo costrinse a rinunciare al torneo di Roma dell’anno scorso e la tonsillite che lo tenne lontano dai Giochi Olimpici di Parigi, scatenando non poche polemiche.
A spegnere quelle scoppiate nelle ultime ore ci ha pensato in primis il suo coach Darren Cahill, che ha parlato di un “virus”.
Un ospite indesiderato che, in accoppiata con il caldo torrido, ha colpito anche altri giocatori, come confermato da Sinner stesso ieri sera nel media day alla vigilia degli Us Open, l’ultimo Slam della stagione (al via domani, 24 agosto). Otto sono stati infatti i ritiri in partita a Cincinnati, senza contare le condizioni precarie di Zverev nella semifinale con Alcaraz. Una disavventura, dunque, che non ha riguardato soltanto l’azzurro. E che ha riacceso i riflettori su un calendario del circuito sempre più compresso, che costringe i giocatori a fare gli straordinari, anche in condizioni climatiche estreme.
E a farne le spese, spesso, è proprio chi, come il numero uno del mondo, arriva in fondo ogni settimana. Lo stesso Alcaraz, in questi anni, è stato fermato da diversi problemi muscolari. Gli ultimi, quelli accusati alla vigilia del Masters 1000 di Toronto del mese scorso, torneo che ha visto una lunga lista di forfait, tra cui anche quello dello stesso Sinner.
Il campanello d’allarme sui cali dell’azzurro viene meno anche se si guarda ai numeri. In 378 partite, si è ritirato solo sei volte. L’ultimo risale al 2023, per un problema alla gamba sinistra. Tutti gli altri risalgono al periodo precedente alla sua consacrazione, che è arrivata anche grazie ai grandissimi miglioramenti fisici. Sintomo che di passi in avanti ne ha fatti tanti, partendo da una struttura che almeno inizialmente non era di certo quella di un bronzo di Riace. E che sembrava condannarlo a una carriera del tutto diversa da quella che si è costruito. Le crepe che ogni tanto emergono sono fisiologiche. Soprattutto per un atleta che spinge l’acceleratore al massimo. Ci sono dei prezzi da pagare per arrivare in vetta.
Nessun strano caso, dunque. Nessun dottor Jekyll e Mr. Hyde.
Come il giunco, Jannik si piega, ma non si spezza.
Ed è già pronto per tornare a competere e difendere il titolo di Flushing Meadows. “A Cincinnati ho avuto un virus che hanno avuto anche altri giocatori. Tra due giorni sarò al 100%”, ha rassicurato ieri in conferenza stampa. Esordirà a New York martedì 26 agosto contro il ceco Vit Kopriva. Con Alcaraz si potrà incontrare solo in finale. Stavolta c’è in ballo la testa della classifica. Quella di milioni di tifosi è già in estasi.