“L’esperienza più formativa della mia vita. Quella che mi ha aperto di più anche a livello mentale e spirituale. L’internazionalità, l’incontro e il dialogo con gente di altre religioni, di altre culture”. Così padre Francesco Patton, sintetizza al Sir i suoi nove anni trascorsi come Custode di Terra Santa, dal 20 maggio 2016 al 24 giugno 2025, giorno in cui ha passato il testimone al confratello, padre Francesco Ielpo. Da Trento, sua regione di provenienza, con trascorsi anche di giornalista nel settimanale diocesano “Vita Trentina”, alla Terra Santa, padre Patton prova a mettere in fila i tanti ricordi di questi anni, cominciando dalla fine: “mi ha scritto proprio in questi giorni l’ex capo del villaggio israeliano di Ain Karem, luogo della nascita di san Giovanni Battista, ringraziandomi, da un lato, ‘per le iniziative di dialogo e amicizia che abbiamo incoraggiato in questi anni’ e, dall’altro, ‘esprimendo il dispiacere che, a causa della guerra, molti incontri sono stati sospesi. Ma resta forte la speranza che possano riprendere al più presto’”. “Anche un amico musulmano mi ha fatto degli auguri molto cordiali, fraterni e significativi. Mi ha mandato un WhatsApp esprimendo il desiderio che io potessi continuare a servire la gente che vive in Terra Santa e la reciproca comprensione in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo”.
Tra guerra e speranza. Nove anni vissuti tra epidemie, tensioni e guerre, ma il filo rosso che li tiene uniti resta sempre quello dell’“incontro, fraternità e dialogo”. “Sono arrivato nel 2016 in piena guerra civile siriana” ricorda padre Francesco, una sorta di battesimo del fuoco. La Siria e Damasco dove ha avuto luogo la conversione di Saulo, non ancora noto come Paolo. “Mi ricordo Aleppo e la testimonianza dei frati, di padre Hanna Jallouf (oggi vicario apostolico di Aleppo, ndr.) e del suo confratello padre Louai, rimasti nella Valle dell’Oronte, controllata dai jihadisti filo Al Qaeda, dopo che tutti erano fuggiti. Ricordo il terremoto del febbraio del 2023 che devastò il Paese già in ginocchio, e prima ancora l’epidemia del Covid dell’inverno del 2020 e i continui conflitti tra Israele e Hamas a Gaza”, del 2018, del 2019, del 2021 fino al 7 ottobre 2023. Eventi certamente drammatici ma nelle cui pieghe hanno trovato spazio anche tante persone di buona volontà ricche di speranza e di dialogo. Il pensiero di padre Patton torna alla “dedizione di padre Ibrahim Faltas ai bambini, da quelli di Gerusalemme, Israele e Palestina ai quali si cerca di garantire un futuro soprattutto attraverso un’adeguata educazione scolastica, a quelli di Gaza che si sono trovati ad essere il soggetto più fragile in un contesto di guerra in cui sono rimasti senza casa, senza scuola, senza cibo e senza cure mediche, spesso senza papà, mamma e fratelli; bisognosi di essere salvati come i piccoli innocenti dall’Erode di turno”. Cita ancora “padre Toufic Bou Mehri che, durante la guerra tra Israele e Hezbollah libanesi, da Tiro, ogni domenica andava in auto nel villaggio cristiano sotto attacco di Deir Mimas a portare viveri e a celebrare messa per le poche famiglie rimaste”. E soprattutto ai tanti frati che “durante la pandemia e in questi anni di guerra, sono rimasti saldi in posti molto isolati perché sanno quanto vale quel Luogo per la narrazione evangelica e per l’identità dei cristiani locali”. Un ricordo a parte il frate lo dedica a Rachel Goldberg-Polin, mamma di Hersh, rapito al Festival Nova e ucciso da Hamas: “questa donna ha rifiutato di mettere in competizione la sofferenze di ebrei e palestinesi e ha deciso di non vivere il suo dolore come ripiegamento ma di restare aperta alla tragedia dell’altro, per aprire una via all’accettazione reciproca, alla riconciliazione e alla pace”. Un vero e proprio cambiamento culturale.
Toccare il mistero dell’Incarnazione. “Sono stati anni intensi e ricchi di relazioni in primis con i frati di quasi 60 nazionalità diverse, e poi con cristiani di tutte le confessioni, con musulmani ed ebrei, rapporti arricchenti che hanno reso unica questa esperienza in Terra Santa.
Essere qui – aggiunge padre Patton -, pregare nei luoghi del Vangelo mi ha aiutato a credere ancor di più nel mistero dell’incarnazione, quindi a ‘toccarne’ la dimensione concreta, che aiuta a non pensare a Gesù Cristo come a un personaggio dei fumetti”.
Ma non è tutto perché, rivela il frate, “muovermi, viaggiare in questi territori, Israele, Palestina, Cipro, Siria, Libano, Giordania, Grecia, in tutto questo grande lago che è il Mediterraneo, mi ha fatto riscoprire anche la cultura mediterranea all’interno della quale le relazioni sono più importanti delle regole e delle procedure. La stessa azione dello stare a tavola – spiega – non è intesa come pura soddisfazione di un bisogno fisiologico ma come ospitalità, convivialità, termine questo caro a mons. Tonino Bello, un valore alto dal punto di vista umano e religioso. Elementi facili da ritrovare in Gesù, e narrati nei Vangeli”.
Con lo stile di San Francesco. Volti e persone che incarnano lo stile tutto francescano di “venire in Terra Santa, come fece san Francesco, in piena quinta Crociata, senza armi, disarmato”.
“La storia, da allora, ci ha insegnato che tutti quelli che sono venuti armati sono stati ributtati a mare: tutti. E gli unici venuti disarmati sono ancora qui”.
Oggi padre Patton si professa “un pacifista radicale. Stando qui ho abbracciato sempre di più quel pacifismo che proponeva Papa Francesco che non aveva paura di dichiarare assurdo quello che invece, a livello anche politico globale, viene oggi considerato normale e addirittura un bene, come aumentare la spesa per gli armamenti”. E di fronte ai conflitti in corso a Gaza, tra Hamas e Israele e tra quest’ultimo e l’Iran, l’ex Custode ribadisce: “Capisco benissimo il diritto alla legittima difesa ma non capisco, e non posso accettare il concetto di legittima difesa ‘preventiva’, attraverso l’uso della violenza e dell’aggressione. Apprezzo tantissimo la Costituzione italiana dove dice che non si può utilizzare la guerra per risolvere i problemi tra gli Stati”.
Sforzi di pace. Da qui il ringraziamento a tanti diplomatici che nei suoi anni da Custode si sono prodigati con ogni mezzo per evitare che i problemi vengano risolti in forma violenta e hanno cercato di proporre soluzioni negoziali. Purtroppo, rimarca, “non sempre il parere e lo strumento della diplomazia vengono valorizzati fino in fondo e c’è ancora chi crede di più nell’efficacia della violenza che in quella del dialogo, nelle ragioni della forza piuttosto che nella forza della ragione”. A riguardo il frate spera sempre in una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese: “non importa la definizione o la formula, Due Popoli Due Stati, può essere uno stato cantonale, può essere uno federale, o che riprende il concetto dei gruppi linguistici del Sud Tirolo. Ciò che conta è che ci sia una soluzione politica, che i palestinesi e gli israeliani riconoscano reciprocamente gli uni agli altri il diritto di esistere e che tutti abbiamo il pieno e reale riconoscimento dei diritti fondamentali di chi abita in paesi civili”. Uno sforzo che non riguarda solo la politica ma anche le religioni con i diversi capi.
“Si tratta – sottolinea Patton – di un compito fondamentale perché se i leader religiosi continuano a dare un’interpretazione ideologica fondamentalista e violenta dei testi sacri per giustificare la violenza non si fa un passo avanti. Come ricordava papa Francesco nel Documento di Abu Dhabi, le religioni devono cooperare al servizio della pace e della fraternità tra i popoli”.
“Va fatto, per questo, un lavoro nelle scuole, dove l’insegnamento non deve essere ideologizzato e che devono diventare luoghi di convivenza” come accade nelle scuole di Terra Santa. Altro punto che sta a cuore dell’ex Custode è “mettere l’economia a servizio della pace”. “Lo ha fatto l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale e potrebbe farlo l’intero Medio Oriente, senza escludere nessun paese. Purtroppo – annota il frate – dopo decenni di pace, adesso anche in Europa si torna a ragionare in termini di soli interessi nazionali. E di riarmo”. Non è certo una bella notizia.
Cristiani restino miti. In questo contesto così drammatico della Terra Santa, padre Patton non dimentica la piccola presenza cristiana locale, “fragile ma profetica. I cristiani – afferma – sono l’elemento fragile proprio perché sono disarmati. Ma è scritto ‘Beati i miti perché possederanno la terra’.
Se i cristiani avranno il coraggio di rimanere miti e di non farsi prendere dalla voglia di usare la violenza come fanno altri, alla fine erediteranno la terra come dice il Vangelo. Proprio perché disarmati possono contribuire a disinnescare la violenza da una parte e dall’altra. E insieme ad altri autentici testimoni di pace ebrei e musulmani possono seminare dialogo e convivenza. Essere cristiani in Terra Santa è una vocazione e una missione, non una maledizione”.