Tragedia di Gratosoglio. Mons. Bressan: “Questi bambini crescono ai margini e abbandonati a se stessi. Basta fingere di non vedere”
La tragedia di Cecilia De Astis, travolta e uccisa da un’auto rubata guidata da un tredicenne con altri tre ragazzini a bordo, ha scosso profondamente Milano e l’Italia intera. Ma come sottolinea al Sir mons. Luca Bressan, vicario episcopale della diocesi ambrosiana, è fondamentale evitare risposte emotive e affrontare il problema con lucidità e interventi strutturali
Lunedì, dopo una folle corsa, un’auto rubata travolge e uccide nella periferia di Milano Cecilia De Astis, di 71 anni. Alla guida del mezzo, rubato, un adolescente di 13 anni; nell’auto con lui altri due ragazzini e una ragazzina, tutti tra gli 11 e i 12 anni, arrestati successivamente in un campo nomadi. Raggiunto dal Sir, mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano, mette in guardia dal rischio di dare, “a caldo”, risposte emotive: “L’emozione estremizza. Il problema è molto complesso e non si può pensare di risolverlo in pochi giorni. Servono lucidità, interventi strutturali e profondi cambiamenti culturali”.
Quindi che cosa ci vorrebbe secondo lei? Quanto accaduto è l’effetto speculare, o meglio il sintomo, della crisi sociale in corso ed anche della crisi urbanistica che è venuta alla luce come un terremoto.
I diversi attori che contribuiscono a costruire la città dovrebbero parlarsi e fare fronte a questi problemi, evitando di fingere di non vederli con il risultato che alla fine scoppiano come un bubbone.
C’è un problema complesso, di disagio sociale. Le donne che abitano nell’insediamento abusivo raccontano di mariti in carcere e di vite in estrema povertà, prive di futuro.
C’è anche una grave emergenza educativa… Una vera marginalità educativa. Questi bambini hanno difficoltà di accesso alla scuola perché il campo abusivo è lontano da tutto e non hanno i mezzi per raggiungerla. Per farlo percorrono chilometri a piedi e una volta arrivati, spesso in ritardo, faticano ad essere accolti e in classe sono irrequieti, non riescono a stare fermi.
Che interventi avete messo in campo come Chiesa ambrosiana? Abbiamo lanciato diversi progetti, ad esempio con le sartorie sociali per dare lavoro a queste donne che rimangono sole, ma rispetto al bisogno sono una goccia nel mare. Alcune famiglie accettano un percorso di reinserimento sociale, ma sono processi che richiedono tempi lunghi vista la complessità della situazione.
Sono comprensibili il dolore e la rabbia dei figli, ma forse non ci si rende conto dall’esterno di quanto questi bambini siano spesso abbandonati a sé stessi… Sì. Purtroppo crescono con un’altra logica di vita, molto selvaggia.
Per loro la società è una giungla; crescono come in una giungla dove vige la legge del più forte.
Questo non vuol dire giustificare il loro gesto, ma tentare di comprendere la complessità dei meccanismi che ci sono dietro… Comprendere non vuol dire giustificare, ma è il primo passo per costruire soluzioni.
E soprattutto bisogna evitare quello che avviene seguito a queste grandi ferite, ossia che si diventa nemici gli uni degli altri.
Questa tragedia ha fatto sì che in un quartiere di periferia, che però conosce anche forme di riscatto, la gente sia tornata a vivere nella diffidenza e nella paura. In questo momento, a caldo, è importante non dare risposte emotive ma anche non demonizzare un intervento di polizia. In alcuni casi bisogna partire da un ristabilimento dell’ordine, che però non deve essere fine a se stesso ma va inserito in un contesto di efficaci interventi strutturali.