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Mappe IconMappe | Mappe 05 – Il settore automobilistico – marzo 2022

martedì 15 Marzo 2022

Transizione per andare dove? Dipendenza a quattro ruote

Prima era uno status symbol e oggetto di affermazione, ora si pensa di noleggiarla. L’automobile rispecchia noi e la società

Giovanni Sgobba
Giovanni Sgobba
redattore

Siamo tutti un po’ Jacques. Jacques è un nome come un altro, è un lavoratore, ha la sua borsa d’ufficio e il cappello in testa. Ha anche un’utilitaria, una macchina appunto utile, funzionale alla sua routine. Un giorno la sua quotidianità viene sconquassata da un gigantesco manifesto pubblicitario: è lei, Venus, l’auto dei desideri, snella, veloce, costosa. Costosissima. Un prezzo a cinque cifre, troppo per Jacques. Ma l’ossessione del consumismo e della moda è come un tarlo nella mente dell’uomo, al punto che dimentica di possedere già un veicolo a quattro ruote. La società degli spot chiassosi partorisce un nuovo oggetto del desiderio e Jacques fa di tutto pur di possederla.

Ma poi? L’epilogo lo lasciamo alla curiosità di chi ha voglia di tuffarsi in Top car – l’oggetto del desiderio, un albo colorato di 40 pagine, edito da Kite edizioni, dell’autore Davide Calì e illustrato da Sébastien Mourrain. La copertina del libro (dettaglio nella foto sotto) è un invito a riflettere sui meccanismi che governano la società, non solo attuale, degli ultimi sessant’anni. Tutto ruota attorno all’auto. L’Italia, nazione montata su quattro pneumatici in un gomitolo d’asfalto, caposaldo su cui sono stati costruiti quartieri e città. La fisionomia attuale rispecchia la scelta imposta, inculcata, osannata del possedere un’automobile, status symbol del benessere postbellico e della ripresa economica. Le vetture circolanti lungo lo stivale, agli inizi degli anni Cinquanta, erano a malapena un milione, nel 1969 si toccò quota nove milioni, un numero raddoppiato dieci anni dopo. Ma non era soltanto il numero a essere significativo: dopo le berline e le utilitarie che parcheggiate fuori casa degli italiani, questo era il periodo delle auto veloci, delle granturismo e delle spider.

Anche il presente corre, ma verso un’altra direzione. E il prezzo al litro del carburante schizzato alle stelle causa scombussolamento globale dettato dalla guerra in Ucraina dovrebbe essere visto come un segnale. A fine 2021, al termine della quarta riunione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite), il governo ha deciso di stoppare la produzione di automobili con motore a combustione interna entro il 2035. Un passo importante verso il taglio delle emissioni inquinanti nel percorso delle politiche nazionali contro il riscaldamento globale e il cambiamento climatico in linea con le indicazioni dell’Unione europea che chiede di tagliare i gas serra del 55 per entro il 2030.Ma il processo di elettrificazione della mobilità quali conseguenze comporterà al mondo dell’automotive italiana? Secondo l’Osservatorio di Federmeccanica, Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm, l’interruzione totale della vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio, e dunque anche le ibride, «se non accompagnata da interventi potrebbe portare in Italia a una perdita di circa 73 mila posti di lavoro, di cui 63 mila nel periodo 2025-2030». Lo stabilimento Bosch di Bari ha annunciato 700 licenziamenti nei prossimi cinque anni, su un organico di 1.700 addetti. Di fatto è la prima crisi aziendale in Italia causata dal passaggio all’auto elettrica e dunque un primo caso di riconversione industriale da finanziare con i fondi del Pnrr sullo sfondo della transizione ecologica. Lo scorso febbraio, il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato un fondo di sostegno al settore automobilistico che prevede circa un miliardo di euro l’anno su un periodo di otto anni «per accompagnare il processo di transizione».

Non solo: «Intendiamo presentare un decreto incentivi per l’acquisto di auto ecologicamente compatibili, non solo elettriche, perché nella fase di transizione dobbiamo considerare anche altre fonti, come l’ibrido». Gli incentivi alla rottamazione sarebbero con la stessa formula del 2021: 6 mila euro per le auto che producono fino a 20 grammi di anidride carbonica per chilometro; 2.500 euro per quelle fino a 60 grammi e 1.250 per quelle fino a 135 grammi. Insomma una transizione meno tranchant. E il Veneto che è stata la prima regione in Italia ad accogliere un’automobile (l’aneddoto è raccontato a pagina VIII)? Fim-Cisl riferisce che sono 7.255 i dipendenti legati alla filiera automotive, ben 5.233 impiegati nella fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli e loro motori, con punte di eccellenza regionale e nazionale su verniciatura, batteria e sedili. Nel complesso parliamo di 185 imprese (prima della pandemia) per un volume d’affari di 2,9 miliardi di euro, ovvero l’8 per cento nazionale. L’ingresso massiccio di nuova concorrenza (tipo Tesla) e una rivoluzione anche sul possesso dell’oggetto auto (noleggiarla anziché comprarla; usare mezzi pubblici etc.) sono i principi di una rivoluzione ancora ingovernabile. Anche se l’auto più venduta rimane la Panda.

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