IdeeUcraina Lo scorso 10 e 11 giugno, 400 rappresentati di 35 Paesi si sono trovati per mettere nero su bianco la richiesta del cessate il fuoco immediato e porre fine alla sofferenza degli ucraini
Una dichiarazione di pace e un appuntamento di mobilitazione pacifista a livello mondiale. Sono sbocciati due nuovi potenti impegni globali al Summit internazionale per la pace in Ucraina, vertice che si è svolto a Vienna nei giorni 10 e 11 giugno e che ha visto la partecipazione di oltre 400 rappresentanti di associazioni, movimenti e sindacati provenienti da 35 Paesi. La mobilitazione, dicevamo, è prevista nella settimana che va dal 30 settembre all’8 ottobre. Sottotesto: per quella data la guerra non sarà ancora finita? «Temo di no, diamo tutti un po’ per “scontato” che il conflitto in Ucraina non terminerà in un paio di mesi» è la riflessione di Lisa Clark dei Beati costruttori di pace ed Europe for peace, presente al summit di due giorni. Nel documento sottoscritto dai Paesi presenti è chiara la richiesta di un immediato cessate il fuoco, di negoziati basati sui principi della sicurezza comune, del rispetto internazionale dei diritti umani e dell’autodeterminazione di tutte le comunità: «La richiesta del cessate il fuoco immediatamente non vuol dire la resa, affatto! – rimarca Lisa Clark – Vuol dire un momento che permetta di iniziare a riflettere, contattare, parlare, a tessere relazioni tra le parti per avviare un negoziato. Sono stati due giorni di confronti intensi per arrivare a una posizione comune e non scontata, viste le diverse sensibilità presenti: i gruppi degli altri Paesi avevano idee anche diverse, ma è veramente interessante il modo in cui siamo riusciti a far passare l’idea che la cosa più importante, il punto da cui partire è la sofferenza della popolazione ucraina. Poi si può pensare al resto». Lisa Clark “elenca” i tanti e complessi negoziati già avviati su temi parziali: dalla liberazione dei prigionieri al grano, o ancor più delicato il far rientrare in Ucraina i bambini deportati in Russia, tema su cui si batte papa Francesco (la Difesa ha dedicato l’editoriale nel numero dell’11 giugno). Ecco, vanno chiamati con la giusta parola: «Sono negoziati e lo dico a tutti coloro che sostengono che “non si deve negoziare con Putin e con la Russia”. Già lo si fa e vanno avanti, ma da Vienna è emerso che bisogna pensare e agire per la sofferenza del popolo ucraino. Prima di scavare tra colpe e ragioni storiche, prima di tutto questo. Il primo gesto del card. Matteo Maria Zuppi appena arrivato in Ucraina è stato quello di andare a Bucha, tragico simbolo della sofferenza delle persone». La plenaria ha anche ascoltato le testimonianze di ucraini che hanno trasmesso la paura di vivere sotto le bombe o in esilio, il dover decidere in pochi secondi dove andare, se fuggire dal proprio Paese o nascondersi. «Karina è quella che ha commosso più di tutti – ricorda Lisa Clark – Lei è del Donbass, è scappata, ma è una profuga interna, è rimasta in Ucraina e si dà da fare, lei che è insegnante di inglese, tenendo lezioni per i bambini: terrorizzati dai bombardamenti hanno capire che la normalità esiste ancora, che c’è speranza, c’è futuro. Abbiamo capito che la solidarietà nostra può avere forme diverse e tutti noi presenti ci siamo detti scandalizzati per l’atteggiamento dei nostri governi, i quali sono convinti che l’unica solidarietà possibile sia quella delle armi. No, non lo è». Una solidarietà diffusa, la possibilità che ognuno di noi possa fare la sua parte. E se inciampiamo nel rischio di assuefazione? Di non vedere la fine del conflitto e rassegnarci a mesi di morti, torture, lacrime? «Dobbiamo insistere nel costruire i ponti anche con gli ucraini che ora vivono in Italia e sono convinti che l’unica soluzione sia la vittoria militare. Parliamoci per aprire il cuore perché ci sono altre modalità e noi ci crediamo».
«Secondo i dati del portale statale, al 12 giugno 2023, 392 bambini sono ritenuti dispersi in Ucraina, mentre 13.529 bambini sono stati ritrovati», si legge nel rapporto pubblicato dagli uffici di Kiev.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha chiesto un accesso più ampio alla centrale nucleare di Zaporizhzhia per verificare i dati sul livello dell’acqua presso la diga di Kakhovka, utilizzata per raffreddare i reattori dell’impianto.
