Chiesa
Ha compiuto 50 anni l’ “Ulster Project”, un progetto nato nel 1975 sulle “ceneri” che stava provocando il conflitto nordirlandese per promuovere in una società profondamente ferita e divisa i valori della pace e della comprensione tra giovani cattolici e protestanti di tutta l’Irlanda del Nord. Per celebrare questo anniversario, si è tenuta il 1° novembre una funzione ecumenica a Enniskillen, con inizio nella Cattedrale anglicana di St Macartin e conclusione nella Chiesa cattolica di St Michael. Hanno preso la parola l’arcivescovo e primate della Chiesa d’Inghilterra John McDowell e l’arcivescovo e primate della chiesa cattolica d’Irlanda Eamon Martin.
Nel corso di questi 50 anni, si stima che abbiano partecipato al progetto 25.000 giovani. Gruppi di teenager per metà protestanti e cattolici hanno aderito a soggiorni di un mese con famiglie ospitanti negli Stati Uniti dove seguono un articolato programma di formazione e condivisione volto a dare ai partecipanti “la possibilità di diventare ambasciatori di pace nella propria comunità”. Seguiti da un team di consulenti, insegnanti e altri facilitatori, gli adolescenti partecipano per quattro settimane da fine giugno a fine luglio ad attività sociali, progetti di servizio alla comunità e funzioni religiose in diverse chiese. Vengono coinvolti in attività e discussioni sui problemi che gli adolescenti affrontano, cercando di favorire comprensione reciproca e nuovi modi per aggirare i pregiudizi e gli stereotipi che contribuiscono alla disuguaglianza nella società.
Dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998 – spiegano i promotori dell’iniziativa -, l’Irlanda del Nord è certamente diventato un paese più sicuro. Tuttavia, alcuni dei profondi problemi sociali e delle conseguenze politiche permangono. “Man mano che il nostro mondo diventa più connesso, siamo sempre più colpiti da fenomeni di violenza, razzismo e ingiustizia”. È qui che entra in gioco l’Ulster Project. Se all’origine il Progetto si concentrava sugli stereotipi che erano la causa principale del duro conflitto cattolico/protestante in Irlanda del Nord, oggi le linee guida continuano a concentrarsi sull’abbattimento di pregiudizi e stereotipi basati però su razza, religione ed etnia, fornendo agli adolescenti gli strumenti necessari per promuovere tolleranza, rispetto e una cultura dell’unità nella diversità.
“Una società riconciliata in Irlanda del Nord è l’unica società in grado di coltivare e sviluppare appieno il potenziale di tutti i suoi abitanti, in questo caso i suoi giovani”, ha detto l’arcivescovo anglicano John McDowell prendendo la parola alla cerimonia ecumenica. E aggiunge: sebbene “riconciliazione” sia una grande parola civica, è anche una parola difficile da “mettere in pratica”. Richiede molte virtù: verità, perseveranza e pazienza. “Ma è anche un lavoro che regala mille soddisfazioni e centinaia di piccole vittorie ogni giorno: parole dure non dette, gesti di coraggio e comprensione offerti in silenzio”.
“Non ci facciamo illusioni”, ha affermato l’arcivescovo cattolico Eamon Martin. “Questo lavoro non è facile, soprattutto quando persistono dolore e lutto irrisolti; quando il processo è bloccato dalla sfiducia o addirittura invertito da una sorta di politica che prospera in camere di risonanza chiuse di sospetto”. Per questo, prosegue mons. Martin, “è tanto più necessario che emergano tra noi nuovi profeti che possano aprire spazi per coltivare empatia e dialogo, consapevoli che nessuno ha il monopolio delle ferite del nostro passato travagliato”.
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“L’opera incompiuta della pace richiede una leadership a molti livelli: nelle chiese e tra politici, imprenditori, educatori, operatori comunitari e volontari”.
“Abbiamo bisogno di più persone che si assumono rischi e che possano aiutarci a compiere passi coraggiosi al servizio del bene comune. Dove sono? Sono fiducioso – ha affermato l’arcivescovo – che tali leader esistano, e molti di loro sono annoverati tra i “laureati” dell’Ulster Project; rimangono la nostra Speranza per il presente e il futuro”. Il mondo ancora oggi grida pace e giustizia per tutti. “Ci sono così tante persone oggi emarginate che giacciono in gran parte inosservate ai bordi della strada”, ha detto l’arcivescovo. “Sono i nostri vicini intrappolati nella povertà; sono i vulnerabili, i malati e i soli: il migrante respinto, il tossicodipendente tormentato, la famiglia dilaniata dal flagello della violenza domestica, il giovane adulto disperato che contempla il suicidio”. “L’opera di costruzione della pace non si esaurirà mai” e “la domanda ‘chi è il mio prossimo?’ ci verrà sempre posta”, ma “speriamo – ha concluso l’arcivescovo – che col tempo riusciremo ad andare oltre le nostre vecchie etichette e a renderci conto che il nostro amore e la nostra responsabilità non possono essere riservati solo ai nostri simili”.