Umanizzare la vita, questa è la sfida

Dal 18 luglio, giorno dell’annuncio della nomina del nuovo vescovo, la diocesi di Padova non è rimasta ferma. La vita quotidiana si è arricchita di tante speranze legate alla figura e alle parole di don Claudio. in tutto questo, mons. Paolo Doni, già vicario generale, ha continuato il suo servizio come amministratore della nostra chiesa: «Sogno cristiani che, in forza della loro fede, prendano in mano i problemi e le attese del loro territorio. In ballo oggi non c’è la chiesa, ma la qualità della vita del mondo».Iscriviti gratuitamente al sito per leggere l'articolo.

Redazione

«Certo, l’arrivo di un vescovo è un evento, per la comunità diocesana e per la società in tutte le sue articolazioni. Ha il suo protocollo, la sua dimensione pubblica, ma sarebbe un errore fermarsi all’esteriorità, ai dettagli di cronaca, ai particolari che stimolano la curiosità. La mia speranza è che come cristiani, e come diocesi, sapremo davvero vivere questa domenica col giusto atteggiamento, in un’ottica che a me piace definire “sapienziale”: capace cioè di porsi in ascolto di quel che il Signore ci sta dicendo, inviando tra noi il vescovo Claudio».

Mons. Paolo Doni, già vicario generale del vescovo Antonio, in questi ultimi mesi è stato amministratore diocesano. Ha avuto il compito di guidare la chiesa di Padova in un momento vissuto in una duplice tensione: da un lato la programmazione dell’anno pastorale e quella “ordinaria amministrazione” che solo all’apparenza può sembrare banale ma è invece il segno di una vita che va avanti, senza interruzioni, con la stessa ricchezza di prima; dall’altro lato, la preparazione all’ingresso del nuovo vescovo, fatta anch’essa non solo di dettagli tecnici ma di un sentimento di attesa che si è tradotto in speranze, progetti, riflessioni sul tempo trascorso e su quello che attende la nostra diocesi.

«Un aspetto che abbiamo visto crescere in queste settimane, è la consapevolezza della responsabilità che ognuno porta, per la sua parte, in vista del cammino della nostra chiesa. Anzi, direi che ci siamo accorti del bisogno di una maggiore sinergia, di una maggiore progettualità condivisa. Queste settimane sono state preziose anche per guardare al cammino fatto, ai risultati raggiunti ma anche agli obiettivi che rimangono da realizzare. Come se avessimo in mano un frutto bello, promettente, ma per alcuni aspetti ancora acerbo. Ecco, ora sento e sentiamo che è giunto il momento di portarlo a maturazione».

Ventisei anni col vescovo Antonio. Quando arrivò, basta guardare le fotografie del suo ingresso, era davvero un altro mondo e un’altra Padova quella che lo accolse. Ora inizia un nuovo capitolo nella storia della nostra chiesa? «Si, sentiamo tutti di essere all’inizio di una strada nuova, ma questo non significa dimenticare cosa sono stati questi lunghi anni col vescovo Antonio, anni in cui la nostra diocesi ha fatto tanta strada grazie alla guida del Signore. Penso al grande capitolo della iniziazione cristiana, al ripensamento della nostra articolazione con la formula delle unità pastorali, penso a quanto la Caritas e la pastorale sociale si sono applicate a far crescere la nostra maturità rispetto alla vita del territorio, alle nuove povertà, all’impegno sociopolitico. Penso all’impegno profuso nella pastorale familiare… se ci guardiamo indietro dobbiamo riconoscere che è stata fatta veramente tanta strada, guidati da un vescovo che ha saputo camminare con la sua comunità. Guardiamo quanto sono diventati fondamentali gli organismi di comunione in questo periodo, concreta espressione di uno stile di chiesa, di una fede capace di farsi struttura e criterio per il nostro agire».

Il vescovo Claudio, insomma, trova una chiesa che è molto cambiata e maturata. Ma le formule e le soluzioni di ieri, saranno buone anche per il domani? «Se guardiamo alla cultura, all’economia, alla politica, alla nostra società e alle nostre famiglie, tutto ci dice che stiamo vivendo – con fatica – una stagione di cambiamento radicale. Non dobbiamo spaventarci, ma riconoscere che il Signore sta aprendo per noi strade nuove, anche attraverso l’arrivo del vescovo Claudio. Sta a noi, come singoli credenti ma soprattutto come comunità cristiane, essere davvero aperti alle novità che lo Spirito sta indicando».

Significa che dobbiamo essere pronti a ripensare il nostro modo di concepire e vivere la chiesa? «Anche questo, ma non cadiamo nell’errore di pensare che il problema cruciale di oggi sia aggiornare le formule pastorali o le nostre modalità organizzative, quasi dimenticandoci del mondo in cui viviamo e delle sue urgenze. Guardiamoci attorno: in ballo oggi non c’è la chiesa, ma la qualità della vita della società, del mondo. La vera sfida, allora, è di offrire il nostro contributo perché si realizzi il desiderio di una vita nuovamente vivibile, di una vita davvero “umana” per tutti. Come possiamo “umanizzare” l’esperienza quotidiana delle persone, delle famiglie, degli ambienti di lavoro, come possiamo restituire qualità e bellezza al creato? Su questo, e non su altro, si gioca oggi la nostra capacità di essere realmente “luce e sale” per il mondo. Con un atteggiamento nuovo, ma con una ricchezza che si è andata sedimentando lungo tutti questi anni».

Che cosa “umanizza” la vita, se non l’orizzonte della fede? Ma non è questa la certezza che coltiviamo da sempre? «Oggi vediamo chiaramente che in un quartiere, in un paese convivono due comunità. C’è la comunità che la domenica si incontra per pregare e celebrare l’eucarestia, e c’è la più ampia comunità che non incontriamo a messa ma che vive accanto a noi. È questo passaggio, dalla parrocchia alla vita concreta delle persone, che oggi dobbiamo riuscire a mettere a fuoco meglio che in passato. Come? Il mio sogno è di veder crescere dei cristiani che, in forza della loro fede e della loro quotidiana esperienza nel mondo, prendono in mano i problemi del territorio, li studiano, si fanno protagonisti di nuove soluzioni possibili. La domanda che deve “tormentarci” oggi, quella che dobbiamo mettere a tema dei consigli pastorali, è: ma noi che abbiamo il dono della fede, come possiamo aiutare i fratelli, quella stragrande maggioranza che non incontriamo la domenica a messa, perché la vita di tutti sia migliore, più umana, più vera?».

Non bastano le strutture? Centri parrocchiali, campi sportivi, iniziative d’ogni tipo, i circoli Noi, la Caritas… non sono tutte risposte al bisogno di una vita migliore? Non sono antidoti potenti all’individualismo, alla povertà di relazioni, a quel che imprigiona la vita delle persone? «In passato la chiesa ha investito molto sulle strutture, a tutti i livelli e in tutti i campi. Ma ormai è chiaro che da sole non bastano, e rischiano perfino di diventare un peso. Il nostro sforzo dev’essere proprio quello di trasformare ogni scuola materna, ogni centro parrocchiale, ogni campo sportivo in un’occasione per “abitare” davvero il territorio, in antenne sensibili ai bisogni che si agitano nella società, in luoghi d’incontro e proposta. A chi propone di chiudere tante realtà per concentrarsi sull’essenziale, io dico che una chiesa senza strumenti rischierebbe fatalmente una deriva spiritualistica. E per questa via finirebbe per essere ininfluente. Serve una chiesa sempre meno fondamentalista, devozionale, miracolistica e alla fine inutilmente moralistica. La nostra esperienza di chiesa deve invece permettere alla fede di diventare orientamento, senso, orizzonte in vista di una continua umanizzazione della società. Che non potrà mai essere codificata perché vive nell’attenzione e dell’attenzione alle singole persone concrete e alla loro vita. In questo sforzo, a me pare, si vede davvero iniziare un nuovo millennio di presenza cristiana nel mondo».

Questa percezione di un cambiamento inevitabile e ormai alle porte, si percepisce anche nella dimensione allargata della diocesi, nelle comunità parrocchiali, o è un’esigenza che ancora non viene avvertita tra la base? «In queste settimane sono rimasto impressionato positivamente dall’attesa per l’arrivo del vescovo, che è più diffusa e profonda di quel che io avrei immaginato. Come mai? Perché don Claudio ha una faccia simpatica? Certo, ma non può essere solo questo! A mio parere è proprio frutto della percezione spontanea che c’è un cambiamento in atto che investe tutti, e che spinge tutti a guardare anche alla chiesa con una rinnovata fiducia. Noi dobbiamo saper rispondere a questa attesa, partendo da due criteri fondamentali: il primo è la consapevolezza che la fede, quando è autentica, non è solo una dimensione interiore né è circoscritta alla domenica. Il secondo è che non c’è più spazio per tentazioni individualistiche. O la fede diventa davvero il sale, la luce che illumina tutti gli ambiti della vita, che ci fa riconoscere uomini accanto ad altri uomini, accomunati da un medesimo destino, o non serve a niente. E questo diventa anche il compito di un vescovo, che è chiamato ad accompagnare il cammino di tanti fratelli e sorelle nello scoprire la dimensione autentica, profonda e comunitaria, della loro fede. In queste settimane in don Claudio abbiamo sentito forte, genuina, autentica questa tensione al camminare assieme. Non come dichiarazione d’intenti, anche un po’ ideologica, ma come spontanea e naturale deduzione. Come la certezza che un cammino di chiesa non può essere impostato diversamente».

Il vescovo Claudio ha vissuto una settimana a Praglia per gli esercizi spirituali. E ha chiamato anche alcuni presbiteri, religiosi, laici della diocesi a condividere con lui quei giorni. Che cosa vi siete portati a casa? «Erano i suoi esercizi spirituali, ma stranamente sono divenuti un po’ anche i nostri esercizi. Lungo quei giorni abbiamo letto, pregato, meditato. Mettendo insieme le risonanze che la parola di Dio suscita in ciascuno, ci siamo accorti di quante ricchezze, di quante diverse sensibilità, persino di quanti problemi ci accompagnano. Negli esercizi spirituali tutto questo da una parte si è andato chiarendo, dall’altra ha finito quasi per illuminarsi. E alla fine abbiamo come percepito che l’indicazione dello Spirito, quel che il Signore voleva dire a don Claudio passava attraverso la bocca, le teste di chi era lì… e anche viceversa! È una verità che tanti di noi hanno occasione di sperimentare. Alla fine ci si accorge che le grandi svolte della vita avvengono in maniera molto naturale. Parli, rifletti, preghi. E a un certo momento ti accorgi che il Signore ti ha portato a imboccare la strada giusta. Ecco, ora sento che siamo pronti a partire».

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Speciali | Il nuovo vescovo Claudio

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