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Rubriche | I Blog/Chiesa & Chiose - don Cesare Contarini

domenica 28 Aprile 2019

Un edificio si può ricostruire. Una vita è cancellata per sempre

La tragedia di Notre Dame, e l’onda emotiva che ne è seguita, possono aiutare l’Europa a riscoprire la sua storia più autentica?

Cesare Contarini

Lo ammetto. Anch’io, vedendo il rogo di Notre Dame, sono stato prigioniero del possibile valore simbolico: conoscendo un po’ la condizione del cristianesimo in Francia, i problemi della comunità cattolica e l’incertezza di un futuro per la Chiesa (non solo in Francia), sono stato tentato di leggere l’incendio (e il temuto crollo) della cattedrale parigina come un segno. Quasi che l’incendio venisse ad annunciare non tanto il crollo di un capolavoro d’arte ma la “vicina” fine di una cultura e di una religione, di un mondo ormai superato.

Triste e preoccupato più per la proiezione simbolica che per l’oggetto stesso, mi sembrava che a prendere fuoco e cadere a pezzi sotto gli occhi attoniti di tutto il mondo fosse il monumento simbolo della Francia e della sua storia, delle radici dell’Europa, della cultura umanistica universale, dell’esperienza di fede di milioni di cristiani attraverso i secoli. E la reazione – intensa e partecipe della Francia, curiosa e attenta di tutto il mondo – mi andava confermando la preoccupazione.

Alla fine poi s’è visto che la vecchia, meravigliosa cattedrale ha retto: la ferita è profonda e grave, ma nel complesso la struttura è stata più forte del fuoco. Notre Dame, che nella sua storia ha sperimentato mille disavventure dovute più agli uomini che alla natura, ha retto. Ci vorranno cinque o dieci anni per sistemarla, ma intanto c’è. Viva. Ha fatto impressione la caduta della guglia ottocentesca, crollata trascinando con sé una parte della volta duecentesca, ma l’antica struttura ha retto all’assedio del fuoco. La sapienza costruttiva dei medievali ha dato un’altra inconfutabile prova di sé.

Poi, raccogliendo le informazioni, si scopre con piacere che l’incendio non ha causato vittime, non è stato premeditato da mano terrorista, si è accanito soprattutto su parti non originarie dell’edificio. Si resta incantati (e perplessi) di fronte alla grande croce che spicca luminosa sopra le macerie affumicate, si rivedono i credenti intenti a recitare l’Ave Maria per domandare che Notre Dame regga la furia del fuoco (È superfluo ricordare che “Notre Dame” è Maria, “Nostra Signora”?).

E ancora, colpisce il “noi” corale emerso dal popolo francese, con voci diverse a testimoniare che questa chiesa di Parigi rappresenta molto di più delle sue pietre e incarna qualcosa di misteriosamente prezioso. La portavoce del governo, Sibeth Ndiaye, nata non in Francia, ha detto semplicemente: «Non è solo un monumento, è NOTRE Dame», con «notre» in maiuscolo. Nostra, come nostra è la casa in cui viviamo.

Si potrebbero recuperare altre “memorie” e curiosi indizi (come la considerazione che la cattedrale mariana è stata sottratta alle fiamme all’alba del 16 aprile, festa di Bernadette di Lourdes), ma preferisco proporre due spunti interrogativi.

L’ondata emotiva per Notre Dame, un vero sentimento nazionale di vicinanza reciproca, può diventare un atteggiamento (ri)costruttivo? Per la fede cristiana, per la Chiesa di Francia? Per noi in analoghe situazioni di sofferenza collettiva? Eventi come questo possono aiutare a riscoprire una storia profondamente intrisa di tradizione cattolica, cioè religiosa e spirituale? In altre parole, le emozioni possono essere educate e condotte a recuperi, propositi, progetti?

Dice qualcosa il confronto – sollevato da molti sui social – con la tragedia dello stillicidio continuo delle morti nel Mediterraneo, di disperati in fuga dai vari incendi bellici e catastrofi di violenza e devastazione naturale nel Sud del mondo? Mi ha colpito e fatto pensare molto una domanda: “L’Europa muore con le fiamme di Notre Dame o con i morti nel Mediterraneo?”.

A dire che l’emozione, pur enorme e motivata, per un edificio non può essere pari alla commozione per la morte – o lo “scarto”, direbbe papa Francesco – di troppi uomini e donne del pianeta. C’è proporzione tra tante parole per lo sgretolarsi di un edificio che, in fondo, si può ricostruire, e tanto silenzio per migliaia di vite (irripetibili!) ogni giorno a rischio, abusate, spazzate via nell’indifferenza dei più? O tra le donazioni milionarie per Notre Dame e quelle ben più scarse dopo il ciclone in Mozambico?

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