Una porta sempre aperta sul disagio

Continua il nostro racconto dei religiosi che operano in diocesi di Padova in occasione dell'Anno della vita consacrata. Questa settimana facciamo tappa all'Opera pane dei poveri, esempio di una chiesa che ha le “periferie” come destinazione. Attiva dal 1897, l'opera nasce sull’esempio di sant’Antonio e solo nel 2014 ha erogato 32 mila buoni pasto. Oggi è guidata da padre Salvatore, suor Federica, suor Loredana e sette volontari laici.Per leggere l'articolo iscriviti gratuitamente al sito.

Redazione

Qui le periferie entrano e sono accolte. Da qui si parte anche per incontrarle là dove esistono. L’Opera pane dei poveri, in via Orto botanico 7 a Padova, dal 1897 è quella porta aperta sulla strada, in centro città, per quanti vivono situazioni di disagio economico e sociale.

«È un servizio caritativo insito nel contesto di tante altre istituzioni iniziate dai frati della basilica del Santo, da sempre attenti ai poveri, sotto l’esempio di sant’Antonio – spiega padre Salvatore Ruzza, francescano minore conventuale, referente dell’Opera – Nato a fine Ottocento per dare una mano a tutti i poveri della città, negli anni si è evoluto per rispondere sempre meglio ai bisogni. È una forma importante di collaborazione con la diocesi sul fronte della carità».

Oggi l’Opera distribuisce, dal lunedì al venerdì a persone straniere in condizioni disagiate, buoni pasto gratuiti per accedere alle cucine economiche popolari e al tempo stesso incontra famiglie in difficoltà, italiane e straniere, per offrire un supporto concreto e uno spazio di ascolto. Grazie a una convenzione con una farmacia, l’Opera garantisce inoltre l’acquisto di medicinali per persone estremamente povere, e sostiene pure il pagamento di ticket ospedalieri. 32 mila sono i buoni pasto erogati solo nel 2014 e otto le famiglie incontrate ogni settimana.

Padre Salvatore è affiancato nel suo servizio da suor Federica Menara, francescana elisabettina, che segue i colloqui per l’emissione dei buoni, e suor Loredana Giugliano, francescana dei poveri, referente per le famiglie. Con loro anche sette volontari laici. «Questo servizio – afferma suor Federica – ti fa entrare in altri mondi e incontrare persone che hanno una grande dignità pur vivendo con tanta sofferenza le difficoltà quotidiane. Sono soprattutto mamme che fanno le badanti: sono donne con laurea in ingegneria, in fisica o insegnanti nel loro paese che si adattano a svolgere umili mansioni per sostenere i figli a casa. Tocco con mano una grande capacità di sacrificio e dolore. Ma soprattutto da loro imparo la fede! “Il Signore mi dà la forza” mi ripetono e sento che non è una frase fatta, ma esperienza di fede vissuta».

Una fede che si condivide anche al di là del credo religioso. «Un pomeriggio a settimana – racconta suor Loredana – incontro le famiglie nelle loro case. È un momento importante e mi chiedono sempre più spesso di pregare con loro. A volte leggiamo un pezzo del corano, altre del vangelo, altre recitiamo una preghiera… Sento che per queste famiglie è motivo di orgoglio poter accogliere una religiosa in casa». E per suor Loredana quest’incontro è motivo anche di verifica della propria vocazione. «Ringrazio Dio ogni giorno di questa scelta. Tanta è la sofferenza che condivido e stare con le persone povere è il mio pane quotidiano! Mi insegnano anche molto, come l’umiltà del chiedere ad esempio. A volte tra le lacrime e l’imbarazzo mettono nelle tue mani la loro vita: vanno accolte e non fatte sentire a disagio». Ma quando entra nelle case, la prima a sentirsi accolta è proprio lei: «Sento che sono attesa! Mi mettono a disposizione tutto il poco che hanno. E per me questa è una conferma e uno sprone a continuare nel mio cammino e servizio».

L’invito quindi di papa Francesco per l’anno della vita consacrata non ha colto impreparati i tre religiosi dell’Opera pane dei poveri. «Non ci ha trovato sprovveduti – sottolinea padre Salvatore – Perché è già dentro il nostro servizio, che non termina con l’orario di chiusura, ma ci segue tutto il giorno e costituisce motivo di preoccupazione continua nel tentativo di affinarlo nel modo migliore, perché davvero sia rispettoso della dignità di ognuno». «Non mi lascia sorpresa quest’invito a uscire – aggiunge suor Loredana – ma non voglio darlo per scontato. Lo sento come un monito ulteriore a non accomodarmi, a non fermarmi, ma a cercare di dare sempre di più laddove c’è bisogno di me».

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Speciali | L'anno della vita consacrata

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